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RICCARDO PEDRIZZI: RESPONSABILITA' SOCIALE DELL'IMPRESA


parla il presidente della Commissione Finanze del Senato

 

 

ormai da qualche tempo che la stampa e in particolare i quotidiani economici dedicano ampio spazio al tema della responsabilità sociale delle aziende, concetto con il quale si indica la capacità delle imprese di assumere un comportamento etico nei confronti dei propri dipendenti, collaboratori, clienti, fornitori, concorrenti, azionisti e collettività. Un tema di attualità che si rivolge anche alla tutela dell’ambiente, alla quale l’Unione europea attribuisce grande importanza, e al quale è stata riservata particolare attenzione nel Vertice di Lisbona del marzo 2000, durante il quale i leader europei, prefissandosi l’obiettivo strategico di fare dell’Europa la società più solidale, socialmente coesa e competitiva del mondo, hanno fatto appello al senso di responsabilità sociale delle imprese.
Si tratta di un principio-obiettivo ulteriormente ribadito in occasione della pubblicazione, nel 2001, di uno specifico Libro Verde della Commissione europea. Con una comunicazione del luglio 2002, inoltre, la Commissione ha adottato una strategia diretta alla promozione di tale principio, affinché venga adottato non solo da tutte le aziende europee ma anche da associazioni professionali, sindacati e organizzazioni non governative. Nelle intenzioni della Commissione la responsabilità sociale delle imprese non deve essere considerata un semplice strumento di marketing e di pubbliche relazioni per migliorare l’immagine delle imprese, ma si ritiene che queste debbano utilizzare tale principio per aggiungere un valore concreto alla propria attività: potranno incrementare il proprio giro di affari grazie anche a un comportamento socialmente responsabile.
Il Governo italiano si è dimostrato particolarmente sensibile al tema, nella consapevolezza che la diffusione della cultura della responsabilità sociale delle imprese non costituisce un costo ma un fattore di competitività determinante per raggiungere gli obiettivi di crescita del Paese. Numerose ricerche dimostrano come un’impresa socialmente responsabile risulti più competitiva: si rafforza, infatti, la reputazione dell’azienda, si valorizzano i segni distintivi e il marchio societario, vengono incrementati i legami con la clientela essendo ormai visibilmente diffuso un sentire collettivo che privilegia le imprese socialmente responsabili; diminuiscono persino i rischi di iniziative di boicottaggio.
In effetti il successo di un’impresa è strettamente conseguente alla sua capacità di stabilire relazioni positive con soggetti esterni - fornitori, finanziatori, personale, membri della comunità in generale -, a partire da quelli collocati nel suo stesso contesto geografico. La disponibilità di questi ultimi a mettere le proprie risorse a disposizione dell’impresa è sempre più influenzata anche dai valori che ne guidano gli orientamenti strategici e i comportamenti operativi. L’etica della responsabilità, quindi, non è in contrasto con il profitto. Anzi un’impresa ben funzionante può esistere e svilupparsi proprio quando la maggior parte degli agenti economici si comporta conformemente all’etica del mercato sostenibile. E questo perché, «se un’azienda produce profitto, significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati e i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti» (cardinale Dionigi Tettamanzi: «Orientamenti morali dell’operare nel credito e nella finanza», atti della conferenza tenuta nel Centro congressi della Fondazione Cariplo di Milano il 24 novembre 2003).
Inoltre «al profitto si può e si deve attribuire anche un significato etico» perché «ogni impresa nasce da un capitale, frutto di passato lavoro» e appresta nuovo capitale per nuovo lavoro, che resta sempre il frutto e l’espressione più alta della spiritualità, dell’intelligenza e delle potenzialità dell’uomo. Il profitto rappresenta, dunque, un segnale indicatore importante, ma la sua credibilità e il suo apprezzamento saranno maggiori se conseguiti «con strategie di impresa o costruiti attorno a valori e a idealità fondate sulla consapevolezza del ruolo e della responsabilità anche sociale e civile che deve qualificare il soggetto impresa», in modo da «trasformare l’attività finanziaria da semplice scambio economico in una rete di relazioni finalizzate all’uomo», per favorire un uso delle risorse al servizio soprattutto di persone e popoli meno privilegiati.
Il tema è stato ripreso anche da Marco Girardo («Criteri sostenibili per prevenire i crack»), per il quale occorre promuovere la cultura della responsabilità sociale all’interno del mondo imprenditoriale italiano. Un’azienda che decide di rispettare standard etici rende disponibili e comunica parametri che non vengono considerati nell’analisi finanziaria tradizionale, ma che hanno comunque una relazione con la capacità di generare profitti. Anche Don Luigi Sturzo sosteneva che l’economia senza etica è diseconomia e che un sistema economico che non stima l’integrità morale come uno dei suoi valori fondamentali, a lungo andare è destinato a fallire, trasformando l’economia in diseconomia e disutilità sociale.
Alla luce anche di questi riferimenti il Governo, nel semestre di presidenza italiana dell’Unione europea, ha predisposto uno specifico progetto (denominato CSR-SC), volto a promuovere la cultura della responsabilità sociale all’interno del sistema industriale e ad accrescere il grado di consapevolezza delle imprese sui temi sociali, ambientali e della sostenibilità. Il progetto è stato notevolmente apprezzato in sede comunitaria e costituisce un contributo essenziale al dibattito che si svolge a livello europeo.
Un quadro dei progressi compiuti dalle imprese italiane nel campo della responsabilità sociale viene fornito in un’interessante nota di ricerca del Centro Studi della Confindustria dell’ottobre 2003. Altre importanti informazioni sono contenute nell’indagine Formaper, presentata ne Il Sole 24 Ore del 15 marzo scorso. Pur mancando di sistematicità, i dati e le informazioni disponibili permettono di delineare uno scenario decisamente incoraggiante. La responsabilità sociale è divenuta un tema prioritario per molte imprese e banche del nostro Paese. Le grandi imprese stanno in qualche modo tracciando il percorso, affiancando all’impegno in rilevanti progetti di sviluppo sociale la ricerca di appropriati modelli di attività in cui la creazione di valore economico avvenga nel quadro della massima trasparenza societaria e si coniughi con il raggiungimento di obiettivi di sviluppo sociale e di salvaguardia dell’ambiente.
Le piccole e medie imprese mostrano un impegno, per altro non nuovo, a favore del miglioramento delle condizioni della comunità cui appartengono. Spesso nel caso delle piccole e medie imprese si tratta di un processo spontaneo, non pienamente consapevole della rispondenza al principio-obiettivo della responsabilità sociale delle imprese. Le informazioni più significative sulle attività svolte nel nostro Paese possono essere ricavate dai bilanci sociali o di «sostenibilità» pubblicati da un crescente numero di soggetti.
Proprio con riferimento a tale tipo di rendicontazioni desidero segnalare l’iniziativa legislativa (A.S. n. 2793) da me assunta, insieme ad altri colleghi del gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale, per l’introduzione di regole minime che assicurino la verifica e il controllo della veridicità dei dati enunciati nei bilanci sociali delle imprese. Nel 2002 circa un centinaio gli organismi hanno pubblicato questi documenti: oltre a imprese e banche, anche enti locali, fondazioni bancarie, associazioni, cooperative. Un numero piuttosto modesto in senso assoluto, ma che mostra una crescita sensibile se si considera che alla fine degli anni 90 si limitava a poche decine.
Nel bilancio sociale è, tra l’altro, posta in evidenza la distribuzione ai vari interessati del valore creato dall’attività d’impresa. Ad esempio, nella ricerca del Centro Studi della Confindustria si dà conto delle informazioni derivanti dall’aggregazione dei dati di 12 grandi industrie e banche che realizzano nel loro insieme un valore aggiunto di circa 52 miliardi di euro. Tale aggregazione mostra che oltre il 32 per cento di tale valore è attribuito al personale nella forma di stipendi, oneri sociali, trattamento di fine rapporto e quiescenze varie; quasi il 28 per cento è reinvestito all’interno dell’impresa per il suo sviluppo; lo Stato, le Regioni e gli enti locali assorbono l’11 per cento del valore aggiunto, agli azionisti va quasi il 17 per cento e agli altri finanziatori - con riferimento a quelli delle sole imprese industriali -, l’8,6 per cento del valore. Infine quasi il 3 per cento è destinato alla collettività nella forma di elargizioni e sponsorizzazioni per iniziative di natura sociale, scientifica, culturale e sportiva. Si può quindi concludere che la parte prevalente della ricchezza creata dalle aziende va a beneficio dei partners interni e, tra questi, in primo luogo ai dipendenti.
La riflessione che scaturisce dalle iniziative e dal dibattito in corso è che debba essere respinta l’idea erronea secondo la quale agire di impresa e obiettivi sociali inevitabilmente si trovano in conflitto obbligato. Tuttavia, come osserva Mario Bessone in un recente articolo sul tema, il problema e l’interrogativo oggi dominanti sono se la virtù può essere imposta e perciò se, in materia di attività dell’impresa socialmente responsabile, sia miglior politica codificare regole di diritto o se invece occorra riconoscere natura volontaria alla responsabilità sociale dell’impresa. La posizione preferibile, che ispira le iniziative del Governo italiano sembra quella che giudica improponibili normative con carattere di imperatività là dove si rende necessario lasciare spazio all’autonomia e alla libertà di impresa; tuttavia possono essere utilmente sperimentate normative di incentivazione.
La proposta italiana avanzata nel corso del semestre di presidenza dell’Unione europea si concretizza nella definizione di un certo numero di indicatori con caratteri di flessibilità intesi a misurare, appunto, il grado di responsabilità sociale dell’impresa tenendo debitamente conto delle sue dimensioni. Una volta avvertito che il sistema deve operare non in forza di imperatività di norme ma su base volontaria, si è prefigurata un’autovalutazione che l’impresa possa svolgere verificando la conformità del proprio operare ai previsti e numerosi indicatori della maturata responsabilità sociale.
Da ciò consegue un orientamento del Governo inteso ad incentivare con un sistema premiale - di genere fiscale -, le imprese che, al di là della loro responsabilità sociale, provvedano ad avviare iniziative socialmente meritevoli: per esempio, attenzione ai problemi delle famiglie disagiate, degli anziani o altro. Ma il tema della responsabilità sociale dell’impresa riguarda, in modo più stringente, anche i tradizionali problemi di regime delle società di capitali e di governo societario. Qui il problema tocca le riflessioni che, soprattutto in sede parlamentare, si vanno proponendo con riferimento alle vicende del sistema finanziario italiano.
Nella stessa versione preliminare del documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio, si può leggere che nel dibattito sui recenti scandali finanziari sono emersi «i limiti di un assetto di governo societario incentrato prevalentemente sulla regolazione dei rapporti tra gli azionisti e gli amministratori, da cui deriva un sistema restio a garantire un’autentica dialettica endosocietaria tra il socio di controllo e gli altri partners, azionisti di minoranza, investitori e risparmiatori».
In questo campo i rimedi, analiticamente elencati nel documento conclusivo dell’indagine, non possono essere affidati alla sola autoregolamentazione dei soggetti, seppure essenziale e fondamentale. Occorre delineare anche un nuovo contesto normativo e un diverso e più efficace sistema di controlli che assicuri comportamenti più corretti e trasparenti nell’agire d’impresa. L’impresa è un’istituzione sociale che, in quanto tale, ha un «diritto di cittadinanza» che la rende meritoria di una serie di tutele e, in casi specifici, anche di sostegno. Questo stesso diritto le impone, però, di soddisfare determinate aspettative che la comunità cui appartiene ha nei suoi confronti, attraverso il rispetto delle regole di correttezza e trasparenza e l’attuazione di comportamenti solidali.
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