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ALTERO MATTEOLI:
AMBIENTE, L'ITALIA STA MEGLIO



intervista al ministro dell'Ambiente
e Tutela del Territorio


corie radioattive in giro per l’Italia alla ricerca di un deposito; rifiuti solidi urbani per lo stesso motivo a passeggio lungo la Penisola; proteste, cortei, blocchi stradali delle popolazioni interessate; giornali stranieri che lamentano la devastazione di suggestivi panorami. Ma è proprio così? Questo nero quadro non è frutto di disinformazione o, peggio, di strumentalizzazioni politiche se non addirittura di deliberata denigrazione da parte di certa stampa straniera? Chiediamo di fare il punto sulla situazione e sulle prospettive al ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio Altero Matteoli.
Domanda. In base alla direttiva europea del 22 luglio 2003, gli Stati membri erano impegnati a presentare a Bruxelles il piano nazionale per le quote di emissione di CO2, anidride carbonica, entro il 31 marzo di quest’anno. Sono stati presentati tutti? Qual’è la posizione dell’Italia e quali i punti del suo piano?
Risposta. Al 31 marzo solo 5 Paesi hanno trasmesso all’Esecutivo dell’Unione europea i piani nazionali: Germania, Austria, Irlanda, Danimarca e Finlandia. L’Italia ha predisposto il proprio, che sarà trasmesso nei prossimi giorni a Bruxelles. Esso parte dal presupposto che l’economia italiana ha raggiunto elevati standards di efficienza energetica ed ha una bassa intensità di carbonio. In altri termini, il costo marginale delle misure nazionali per migliorare ulteriormente i risultati raggiunti nel rapporto tra prodotto interno ed emissioni di CO2 è mediamente molto più elevato di quello richiesto agli altri Paesi europei. Per questo il Piano nazionale di assegnazione dei permessi di emissione deve riconoscere che il sistema industriale italiano ha realizzato, negli ultimi 20 anni, interventi strutturali per aumentare l’efficienza energetica. Senza contare che l’Italia ha abbandonato l’energia nucleare il che rende più significativi i risultati circa l’intensità del carbonio. Se la Germania non facesse ricorso all’energia nucleare, le sue emissioni di CO2 sarebbero maggiori del 42 per cento e quelle della Francia del 75 per cento. Ritengo che le misure italiane per la riduzione delle emissioni del settore elettrico dovrebbero contenere un fattore di riequilibrio rispetto ai Paesi che fanno ricorso alle centrali nucleari.
D. Gli impegni di Kyoto del 1997 sono considerati una garanzia minima per contenere le emissioni di gas ad effetto serra e prevedono di ridurle dell’8 per cento entro il 2010, con l’inizio della borsa europea del CO2 del 1 gennaio 2005. Condivide le decisioni adottate?
R. L’Italia ha predisposto un Piano per la riduzione delle emissioni di gas serra, aggiornato nel febbraio scorso; secondo il Protocollo di Kyoto, dovrà tagliare le emissioni del 6,5 per cento rispetto al 1990, ma in questi anni esse sono aumentate e la riduzione dovrà toccare l’11,5 per cento. Questo obiettivo sarà raggiunto con le misure previste e in fase di attuazione, con l’aumento e la migliore gestione delle aree forestali e boschive, con un ventaglio di misure nei settori dell’energia, dei servizi, dei trasporti, dell’agricoltura e con progetti di cooperazione internazionale nei settori energetico e forestale. La borsa europea delle emissioni di CO2 aiuterà a raggiungere più facilmente questi traguardi. Sul Protocollo di Kyoto ho fatto sempre presente l’esigenza di incardinarne l’attuazione in un giusto contesto internazionale. Nella seduta del Consiglio dei ministri europeo dell’Ambiente e dell’Energia svoltasi a Montecatini nel luglio scorso si è sottolineato che il Protocollo è un accordo internazionale per affrontare i cambiamenti climatici; e che la sua applicazione unilaterale da parte dell’Europa avrebbe un effetto modesto sulla riduzione delle emissioni globali di CO2, mentre comporterebbe costi assai elevati e rischi concreti per la competitività delle imprese italiane ed europee. Ritengo che l’assunzione di responsabilità unilaterali da parte dell’Europa possa interrompere definitivamente il difficile dialogo con la Russia, il Paese la cui ratifica è essenziale, dopo l’abbandono degli Stati Uniti, per l’entrata in vigore del Protocollo stesso.
D. Condivide le penalità previste per le imprese che non adottano i miglioramenti tecnologici per rispettare i limiti di emissione previsti?
R. Se le industrie non si adegueranno, dovranno sottostare a sanzioni ma il mercato delle emissioni che prenderà l’avvio nel 2005 permetterà alle industrie meno virtuose di comprare crediti di emissione dalle imprese più diligenti.
D. L’allarme per l’effetto serra e l’inquinamento atmosferico è giustificato o amplificato dai mass media? Qual’è la situazione italiana nelle emissioni dovute alle auto e alle industrie?
R. Non faccio parte del partito dei catastrofisti che vedono la distruzione del pianeta dietro l’ angolo. Ma il clima sempre più capriccioso e l’inquinamento atmosferico mi preoccupano, anche se sono convinto che l’uomo ha gli strumenti per superare queste emergenze. Per l’effetto serra e per i cambiamenti climatici abbiamo predisposto un Piano diretto a ridurre le emissioni, che spero dia i risultati previsti entro il 2010-2012. Per l’inquinamento atmosferico mi sono attivato con misure che agiscono su qualità dei carburanti, caratteristiche dei veicoli, incentivazione e fluidificazione del trasporto pubblico, riscaldamento, orari di lavoro e tempi delle città. Non bisogna dimenticare però che nella lotta all’inquinamento atmosferico un ostacolo è rappresentato dalla densità automobilistica: in Italia circolano 58 auto ogni 100 abitanti, circa il 10 per cento in più rispetto ai Paesi dell’Unione europea. Questo ha fatto sì che, dopo i significativi miglioramenti della qualità dell’aria ottenuti tra il 1985 e il 1995, oggi si registri una situazione di stasi o di riduzione estremamente lenta delle emissioni atmosferiche di alcuni inquinanti.
D. Alcune industrie francesi hanno presentato un ricorso alla Corte di Giustizia europea contro la direttiva di Bruxelles denunciando il rischio di una distorsione della concorrenza. Altre hanno annunciato il proposito di spostare gli impianti in Russia e in Brasile. Questo rischio vale anche per le nostre imprese? Qual è l’atteggiamento dell’impresa italiana e del Ministero?
R. La riduzione di competitività e la distorsione della concorrenza preoccupano molti Stati europei. La minaccia di trasferire le industrie in Paesi più lassisti dal punto di vista ambientale non mi trova d’accordo. Ritengo inaccettabile esportare l’inquinamento in Paesi più deboli. La mia politica è stata sempre risanare l’ambiente in casa.
D. Il traffico automobilistico viene bloccato sempre più spesso nelle grandi città ma gli effetti sull’inquinamento atmosferico sono irrisori, sproporzionati ai disagi causati. Sono provvedimenti necessari o diretti a soddisfare le componenti politiche verdi? Quali provvedimenti sarebbero più idonei?
R. Quale responsabile della salute pubblica, il sindaco non può esimersi dal bloccare il traffico in caso di superamento dei limiti di inquinamento. È una misura obbligata ma che non serve per ridurre le emissioni in maniera permanente. Per questo ho deciso, anche se mi ha causato molte critiche, di non finanziare più le «domeniche a piedi». Il Ministero dell’Ambiente deve investire in interventi strutturali per ridurre l’inquinamento, altrimenti non esegue il proprio compito. Così ho indirizzato le risorse del Ministero verso misure che durano nel tempo come la costruzione di parcheggi di scambio, gli incentivi ai motorini meno inquinanti che hanno messo in circolazione 120 mila due ruote a bassa emissione, la promozione delle auto a metano e a gpl, il car-sharing, gli esperimenti di telelavoro, l’istituzione dei responsabili della mobilità, l’acquisto di veicoli a basso impatto per le Amministrazioni pubbliche. Poiché queste misure da sole non serviranno a cancellare lo smog, ho sollecitato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a istituire un tavolo permanente per risolvere i problemi dell’inquinamento cui partecipino tutti i ministri interessati.
D. Le grandi concentrazioni urbane provocano l’incremento di fattori inquinanti incontrollabili come il traffico motorizzato, il consumo di energia elettrica e di acqua, la produzione di rifiuti. Quali misure dovrebbero essere adottate in città dalla tipologia urbana in gran parte medioevale, con servizi pubblici inadeguati e scarse aree verdi?
R. L’Italia è in controtendenza. Negli ultimi anni, forse anche per motivi ambientali, si è registrata una fuga dalla città. Sono sempre di più i cittadini che vivono fuori dai grandi centri urbani. La conseguenza negativa del fenomeno è l’abbandono dei centri storici da parte degli abitanti tradizionali, sostituiti da abitanti part-time, cioè da chi frequenta gli uffici che hanno preso il posto delle abitazioni. Non voglio dire che la città non soffra di traffico, di inquinamento, di rifiuti, perché i pendolari moltiplicano i problemi ambientali; l’ambiente in essa è sempre più malato, di conseguenza proprio sulla città si riversano le cure e gli investimenti maggiori.
D. Nel dicembre scorso il suo Ministero ha pubblicato una Carta delle aree a rischio. Quali sono gli interventi in atto o pianificati? Quanto si è speso per le calamità e quali misure sono state adottate?
R. La difesa del territorio costituisce una grande opera pubblica. Esso è da sempre soggetto a un insieme di eventi naturali e di azioni dell’uomo che lo modificano più o meno profondamente fino a metterne a rischio l’integrità fisica e la possibilità d’uso da parte della collettività. In questi 30 mesi di Governo il Ministero ha lavorato intensamente per portare avanti la pianificazione diretta a ridurre il rischio idrogeologico nei bacini idrografici, per aumentare gli strumenti di conoscenza e per ripartire le risorse negli interventi di difesa del suolo. In questi anni abbiamo trasferito alle Regioni 588 milioni di euro. Per controllare l’attuazione dei programmi è stata istituita una task force di 42 giovani super-esperti che lavoreranno nelle Regioni ad Obiettivo 1. Prosegue la mappatura del territorio a rischio idrogeologico. L’ultimo rilevamento censisce più di 11 mila aree ad elevato rischio. Per questa attività è stato siglato un accordo di programma con l’Unione delle Province. Ed è stato dato via libera a un Piano straordinario di telerilevamento.
D. In un articolo pubblicato a fine marzo dall’inglese Independent on Sunday si lamenta la devastazione del panorama della Toscana da parte del turismo. Sono critiche meritate?
R. Avverto un desiderio di sensazionalismo che non trova riscontro nella realtà del paesaggio toscano, uno dei più conservati d’Italia. Il turismo di qualità che ha scelto la Toscana e l’ecoturismo che si indirizza verso le fattorie e gli agriturismi sono serviti per conservare le colture e le specificità dell’ambiente. La vite e l’ulivo sono sempre state e sono le coltivazioni più tipiche della regione, che produce vino e olio di qualità. In pochissimi casi l’incultura urbanistica e ambientale di alcune Amministrazioni locali ha provocato danni. Ma si tratta di casi limite che nulla hanno a che fare con la «devastazione del panorama» lamentata dal giornale inglese.
D. La popolazione è consapevole dell’importanza del rispetto dell’ambiente?
R. Sono stato ministro nel 1994 e oggi, e devo dire che a distanza di alcuni anni ho trovato gli italiani più maturi da un punto di vista ambientale. L’ambiente è diventato un valore da difendere.
D. Alla fine del marzo scorso ha fatto scalpore la protesta della popolazione di Scanzano Jonico contro la realizzazione di un sito in quel Comune ove smaltire rifiuti radioattivi. È giustificato il rifiuto quando si tratta di scorie prodotte da usi sanitari? In campo energetico il Paese ha subito danni economici per l’opposizione alla nascita di centrali nucleari; la conseguenza è che deve comprare elettricità prodotta dal nucleare dalla vicina Francia. Non è troppo esasperata l’emotività degli italiani?
R. Il Governo Berlusconi ha affrontato in modo deciso il problema delle scorie che non è più dilazionabile. La modifica del decreto ha rassicurato gli abitanti di Scanzano Jonico ma ciò non toglie che occorre al più presto una soluzione. La protesta di Scanzano è stata causata anche dalla scarsa informazione diffusa dai protagonisti, ma questo non giustifica la strumentalizzazione da parte di una certa opposizione. In Italia tutto ciò che riguarda il nucleare è sempre stato trattato da un punto di vista emotivo anziché scientifico. In tutti i Paesi il problema ha suscitato lunghi dibattiti e anche polemiche, ma questo non ha impedito ai Governi di decidere. Alludo alla Francia, alla Spagna e alla Svezia, dove in 5 anni si è passati dalla decisione politica all’operatività dei siti di stoccaggio attraverso una comunicazione capillare e un dibattito pubblico costruttivo.
D. Recentemente i rifiuti urbani della Campania sono stati inviati nel Nord, a pagamento. Si tratta anche in questo caso di disinformazione? Se questa esiste, la popolazione va educata alla difesa dell’ambiente, non va anche tutelata da allarmi immotivati lanciati da associazioni ambientaliste per autopromuoversi o fare polemica politica?
R. Per risolvere il problema dei rifiuti. che sta creando ripetute emergenze, l’Italia deve ridurre, attraverso la raccolta differenziata, almeno del 50 per cento quelli portati alle discariche, e puntare sugli impianti di recupero e riciclaggio. Ho cercato in questi anni di favorire questa strada e nel Centro-Nord i risultati già si vedono. Nel Meridione questo passaggio è più lento per problemi di organizzazione, di mentalità e anche di cattiva informazione. I termovalorizzatori che tanto spaventano le popolazioni locali sono inceneritori di ultima generazione, sperimentati in molti Paesi europei e in alcune città italiane, e quindi sicuri. In Campania dovrebbero esserne realizzati due; c’è già stata la valutazione di impatto ambientale, sono stati individuati i siti e in due anni potrebbero entrare in funzione.
D. Sono giutificate le resistenze che spessso oppongono le forze politiche?
R. Purtroppo alla cattiva informazione si lega spesso anche la strumentalizzazione politica. Ricevo molti comitati di cittadini ma solo raramente sono spontanei perché in molti casi, se non nella maggior parte, sono pesantemente influenzati politicamente. Per questo ritengo importante puntare sull’informazione istituzionale. Ho potuto constatare che, se opportunamente informati, i cittadini accolgono positivamente le iniziative del Governo. E insieme allo sforzo di comunicazione da parte nostra, è necessario anche il coinvolgimento della responsabilità istituzionale degli enti locali.
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