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PROFESSIONISTI. LE CASSE
COME INVESTITORI ISTITUZIONALI




di Maurizio De Tilla,
presidente della Cassa Forense
e dell' AdEPP

l'Esecutivo starebbe studiando
un prelievo forzoso a carico delle Casse professionali: l'AdEPP è assolutamente contraria e ha chiesto al Governo
la smentita

opo la privatizzazione del 1994, gli enti di previdenza dei professionisti aderenti all’AdEPP hanno dimostrato di adottare politiche di gestione lungimiranti non solo conseguendo risultati di bilancio positivi ma riuscendo anche a migliorare le proiezioni attuariali, frutto di efficaci amministrazioni e modifiche normative. Basti considerare che i patrimoni di questi enti nel periodo che va dalla privatizzazione ad oggi hanno ottenuto una crescita complessiva media superiore al 50 per cento, con punte di incremento fino al 100 per cento. La crescita delle Casse professionali ha maggiormente garantito i livelli pensionistici.
Grazie agli incrementi contributivi, al più lungo orizzonte temporale e alla gestione professionale ed efficiente delle risorse, gli enti di previdenza parzialmente capitalizzati, quali quelli dei professionisti, riescono a canalizzare una grande quantità di piccolo risparmio verso una migliore pianificazione degli investimenti con efficace ripartizione dell’attivo, a tutto vantaggio degli iscritti. Si innesta così un circolo virtuoso che può attribuire a questi enti una funzione rilevante ai fini del conseguimento di obiettivi previdenziali senza il contributo dello Stato.
Il paradosso è che, a questo punto di crescita della previdenza dei professionisti, qualcuno voglia tornare indietro. È di questi giorni, infatti, la notizia apparsa su un organo di stampa in ordine a un’ipotesi che sarebbe all’esame dell’Esecutivo e che prevederebbe un prelievo forzoso nei confronti delle Casse professionali. L’AdEPP ha manifestato l’assoluta contrarietà nei confronti di una tale ipotesi espropriativa e ha richiesto l’immediata smentita al Governo, considerata anche la totale estraneità di una tale operazione rispetto al programma governativo che, anzi, comprende precisi impegni nei confronti delle Casse di previdenza dei professionisti sul pieno riconoscimento dell’autonomia gestionale e l’introduzione di equi regimi fiscali. È del tutto evidente l’illegittimità costituzionale di una tale ipotesi cui è giusto non dare eccessivo credito, ma neanche ritenere destituita di ogni fondamento, almeno fino all’intervento di una formale smentita governativa.
La previdenza professionale è una realtà di tutela previdenziale non solo riconosciuta da una legge dello Stato ma anche legittimata dalla Corte costituzionale che, in più di una pronuncia, ha riaffermato l’inviolabilità del diritto dei soggetti privati di perseguire in autonomia, avendone i requisiti, funzioni pubbliche con strumenti privatistici. Su questa base gli enti di previdenza dei professionisti si sono assunti in pieno l’onere di svolgere una funzione di natura pubblica e di rilevanza sociale, sgravando lo Stato dall’obbligo di erogare i trattamenti pensionistici ai professionisti nei termini delle loro aspettative e dimostrando di poter garantire la tutela previdenziale della libera professione senza gravare minimamente sul bilancio pubblico.
Ma al di là dei pur importanti aspetti giuridici, l’insensatezza dell’ipotesi di un prelievo forzoso nei confronti delle Casse si rileva soprattutto sotto il profilo economico e strategico. Come ho già precisato, gli enti previdenziali non devono essere privati delle risorse dei professionisti, potendo svolgere un importante ruolo nel settore della sicurezza sociale. Il risparmio dei professionisti, destinato ad alimentare la loro sicurezza sociale, consente la messa a punto di nuove strategie rese possibili dall’intervenuta irrevocabile privatizzazione, che ha comportato una forte e salutare autonomia con riflessi sulla gestione e sul quadro normativo.
Ciò costituisce, tra l’altro, un’importante novità per lo sviluppo di una moderna economia di mercato che può utilmente avvalersi di capitali fino a qualche anno fa congelati, anche forzosamente, in titoli di Stato o in investimenti immobiliari spesso scarsamente redditizi e caratterizzati da alti costi di gestione. Le sinergie che è stato possibile realizzare attraverso il «circolo virtuoso» innescatosi sono suscettibili di ulteriori sviluppi. Le Casse private dei professionisti possono così proporsi, oggi, sul mercato produttivo come importanti e affidabili investitori istituzionali, non inclini a speculazioni o turbative e, nello stesso tempo, pronti a contribuire, attraverso scelte strategiche mirate, allo sviluppo economico del Paese. In questa ottica vanno visti i significativi investimenti operati negli ultimi anni anche in occasione delle più importanti privatizzazioni.
Anziché ipotizzare illegittimi e controproducenti prelievi forzosi, che sarebbero decisamente contrastati dai professionisti italiani, il Governo dovrebbe sviluppare le potenzialità delle Casse come investitori di rilievo istituzionale, con scelte autonome ed efficienti. In definitiva le Casse professionali contano sul fatto che la delicatezza e la complessità della materia inducano a scelte di buon senso, che coinvolgano fattivamente gli enti e non producano arroganti interventi di tipo dirigista o coercitivo, che scatenerebbero la protesta dei professionisti italiani con le inevitabili conseguenze, anche in termini di perdita di consenso, che tale situazione verrebbe a determinare.
E ciò sarebbe tanto più grave in un momento nel quale si aprono nuovi spiragli con l’assistenza sanitaria integrativa e la previdenza complementare. Con la consueta puntualità il presidente della Covip Lucio Francario ha dichiarato nella sua ultima relazione che le Casse potranno organizzare forme di previdenza complementare singole o consortili muovendosi in un solco più aderente alla tradizione dell’organizzazione previdenziale dei liberi professionisti, piuttosto che ispirato al modello delle relazioni sindacali. Anche in ragione di questo andrà salvaguardata l’autonomia normativa e organizzativa delle Casse, evitando controlli amministrativi impropri e assegnando alla supervisione il compito precipuo di responsabilizzare gli organi di gestione e di controllo competenti.
Francario ha richiamato l’attenzione sui seguenti punti. Le Casse hanno sviluppato un know-how significativo anche nelle operazioni finanziarie; ora occorre che la gestione del risparmio destinato a previdenza complementare venga separata e organizzata per conti individuali. Più in generale la gestione finanziaria andrà indirizzata all’esclusivo interesse degli aderenti, garantendo sicurezza, qualità e redditività oltre che diversificazione del portafoglio. Per altro verso, occorrerà adeguare i criteri di contabilizzazione con l’adozione della valorizzazione ai prezzi di mercato e di modelli di bilancio rispondenti alle esigenze di trasparenza e di controllo sociale.
Le Casse già dispongono di conoscenze adeguate anche in materia di servizi amministrativi: si tratta di introdurre nella loro cultura le competenze relative alla contabilizzazione per quote richiesta dalla previdenza complementare, il che non risulta affatto d’ostacolo alla gestione diretta del servizio. Sul terreno dell’erogazione delle rendite, dove le Casse dispongono di conoscenze che consentono loro di effettuare la prestazione diretta con forte diminuzione dei costi di gestione del servizio, va rafforzato il monitoraggio dell’equilibrio tecnico-attuariale, al fine di evitare che esso venga messo a rischio dall’allungamento delle aspettative di vita delle popolazioni di riferimento.
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