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Giustizia «animale»: funziona a pelle di leopardo e mette in atto processi lumaca

Maurizio De Tilla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

In alcuni uffici giudiziari la giustizia funziona piuttosto male. Ad esempio, la situazione del Tribunale di Piacenza è la peggiore in Emilia Romagna. Servono magistrati e personale amministrativo. Appare necessario che istituzioni e politici si muovano altrimenti si rischia il blocco con la conseguenza che i cittadini avranno meno giustizia o una giustizia più lunga, e sarà più difficile lavorare per giudici, avvocati e impiegati. Il problema è che, accanto alla mancanza di magistrati, c’è un «sotto organico» fortissimo in tutte le sedi dell’Emilia Romagna. Un altro problema è l’aumento delle nuove cause sia nel civile sia nel penale, in numero superiore a quelle che si possono smaltire.
A Venezia la giustizia rischia la paralisi. Il presidente del Tribunale, Arturo Toppan, se ne è andato in pensione, non senza «vantare» il lavoro svolto e la diminuzione delle pendenze giudiziarie. Nella realtà la situazione non è tanto rosea. Per i magistrati c’è una scopertura del 30 per cento. Forti carenze anche per quel che riguarda il personale amministrativo. La giustizia veneziana rischia, quindi, la paralisi. Di recente il ministro Orlando si è impegnato ad intervenire con efficacia. Speriamo bene.
A Santa Maria Capua Vetere il 9 luglio 2015 si è tenuta la sessantottesima udienza relativa a un procedimento datato 1979, che non è stata l’ultima, perché si è conclusa con il deposito e l’esame della consulenza tecnica e con un ulteriore rinvio.
Il Ministero della Giustizia ha stilato una lista nera di 35 circondari (ma sono molti di più) che superano la soglia critica (già circoscritta) in quanto è notevole il contenzioso arretrato «ultra triennale» che finisce per pesare sul bilancio dello Stato per i danni ex legge Pinto. Alcuni Tribunali hanno addirittura pendenze che risalgono agli anni 50. La denuncia dello stato comatoso della giustizia scaturisce per l’appunto dalla ricognizione del Ministero. Purtroppo i rimedi fino ad oggi adottati si sono rivelati del tutto inefficaci.
Anche la giustizia minore è nel caos. Si susseguono episodi clamorosi di inefficienza e di declino giudiziario. A Torre Annunziata un giudice ha fissato in una udienza ben 197 cause. Si è rischiata una rissa in aula, come si è potuto vedere su un video. Nelle immagini, si intravedono decine tra avvocati, testimoni e parti in causa che attendono il proprio turno, in una sala affollatissima, tra imprecazioni e commenti di sdegno per la situazione assurda che si è andata a creare. In totale, dopo aver svolto i primi 40 procedimenti, sono state rinviate a data da destinarsi le ulteriori 157 cause.
In altra sede, la Camera forense neritina ha manifestato la propria preoccupazione per lo stato di abbandono in cui operano gli uffici del Giudice di pace di Nardò, privi di strutture organizzative e di personale che possano consentire lo svolgimento delle udienze e una pur minima attività di cancelleria. Se il decreto legislativo numero 156 del 2012 ha consentito che gli uffici dei giudici di pace soppressi potessero essere mantenuti nelle loro sedi assumendosi gli enti locali interessati gli oneri di funzionamento e di erogazione del servizio, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che deve provenire dagli stessi enti locali, questa facoltà deve essere esercitata nell’interesse dei cittadini, garantendo quindi efficienza e dignità nell’espletamento del servizio.
E oggi così non è. Le udienze spesso non possono essere tenute per carenza di personale; l’attività di cancelleria è assolutamente inadeguata al carico di lavoro, e spesso non garantisce gli adempimenti più immediati (comunicazioni di rinvii, reperimento di documenti e di fascicoli, rispetto dei termini). Conseguentemente anche i rapporti tra operatori non appaiono improntati a cordialità e spirito di collaborazione.
L’andamento della giustizia non è migliore in Calabria. Qui i magistrati di prima nomina si fanno le ossa (Vibo Valentia, Lamezia, etc.) e subito dopo scappano. Nessuno vuole rimanere in Calabria, dove il lavoro è duro e difficile anche per la massiccia presenza sul territorio della criminalità organizzata. Il che ci deve far riflettere sull’avvenuta soppressione del Tribunale di Rossano.
Sempre più uffici giudiziari manifestano inconvenienti di non poco rilievo. Le cause del declino giudiziario sono molteplici. I rinvii interminabili dei processi vanno stroncati. Si contrappongono due atteggiamenti. Da un canto abbiamo il modello del giudice che ha la meglio su tutti gli impegni, giocando persino di anticipo, dall’altro abbiamo il modello del giudice che ama il rinvio che può procurare anche la paralisi e talvolta disastri irreversibili. Nella giustizia la prassi del rinvio per non decidere è una delle principali ragioni del declino che è sotto gli occhi di tutti. La decisione è sempre molto impegnativa e significa lavorare con intensità. Chi non intende lavorare preferisce non decidere, non impegnarsi, adottare la logica del rinvio all’infinito. Chi non decide, lo fa anche per evitare ogni responsabilità. In questo quadro appare anomalo che sia stato allontanato un giudice che voleva fare più udienze.
Non è infatti frequente che un giudice chieda di fare più udienze di quelle assegnate. È accaduto in un Tribunale della Toscana, ma - come si è letto sui giornali - il maggiore lavoro è stato demotivato. Il giudice solerte ha, quindi, chiesto il trasferimento in altro ufficio giudiziario. L’episodio testimonia quanto sia difficile lavorare negli uffici giudiziari e quanto sia poco meritocratica l’attività del giudice che è diventato un vero e proprio burocrate spesso vincolato al calendario delle udienze. Invece che promuovere iniziative per consentire una maggiore produttività della giustizia, in alcuni casi si scoraggia qualsiasi iniziativa di migliore rendimento.
Un’ulteriore ragione della crisi della giustizia è la insufficienza delle risorse, degli strumenti e del personale. Invece che incrementare i fondi stanziati, vengono spesso calmierate gran parte delle spese, ivi compresi gli indennizzi per i danni dai processi lumaca. Un’ulteriore sforbiciata riguarda le risorse per il processo telematico. Risparmi anche per i giudici di pace, giudici onorari aggregati, giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari.
Continuando così, è certo che la giustizia finirà per essere ulteriormente affossata. Da considerare che il processo telematico ha procurato dei vantaggi. Ma esistono ancora forti problemi di sicurezza. È accaduto a Roma: un giudice di pace ha ricevuto una e-mail con un allegato. C’era un virus che ha rischiato di infettare un software importante. Spento il sistema, tutti gli uffici si sono paralizzati. L’inconveniente si è ripetuto anche in altri uffici giudiziari. Il sistema informatico della giustizia italiana non è, infatti, sicuro. L’Avvocatura ha da tempo denunciato al Ministero della Giustizia le carenze del sistema. Nonostante le assicurazioni, non si è ancora provveduto alla puntuale messa a punto della sicurezza.
Sotto altro versante, non poche sono le diversità di veduta tra avvocati e magistrati sulle «copie di cortesia». È da registrare che con una articolata nota il magistrato referente per l’informatica per il Distretto di Roma ha osservato che la previsione del deposito telematico facoltativo degli atti introduttivi comporta inconvenienti che non sono facilmente superabili, tra l’altro, per la nomina del giudice relatore e la fissazione dell’udienza di discussione. Anche in tal caso viene, quindi, consigliato il deposito di una copia cartacea dell’atto depositato telematicamente.
La richiesta è stata ribadita dall’Anm che ha denunciato le ricadute sui magistrati di compiti e funzioni delle cancellerie, con conseguente aggravio di responsabilità del giudice e rallentamento dei tempi di studio delle cause. Secondo l’Associazione nazionale dei magistrati il processo telematico dovrebbe essere accompagnato da un obbligatorio processo cartaceo. Si passerebbe, quindi, dall’esclusivo processo telematico o dall’alternativa (o/o) processo cartaceo o processo telematico al doppio regime obbligatorio (e/e).
Da sottolineare che il costo e l’adempimento di tali incombenze fa esclusivamente carico agli avvocati che stanno per perdere la pazienza. Il Ministero continua a sfornare rimedi che spesso si rivelano insufficienti. Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 225 del 2 novembre 2015 del decreto del Ministero della Giustizia del 1 ottobre è iniziata l’operazione di costituzione dell’Ufficio del processo (non del giudice). Il provvedimento stabilisce i criteri organizzativi mettendo nella titolarità e disponibilità dei presidenti della Corte di Appello e del Tribunale l’articolazione delle strutture organizzative, tenuto conto del numero oggettivo di giudici ausiliari e di giudici onorari, del personale di cancelleria, dei praticanti che svolgono lo «stage».
Il presidente della Corte o del Tribunale assegna la struttura ad uno o più giudici togati, tenuto conto in via prioritaria del numero delle sopravvenienze e delle pendenze e anche, per il settore civile, della natura dei procedimenti e del programma di gestione per lo smaltimento dell’arretrato. È altresì prevista la predisposizione di un sistema informatico per la rilevazione dei dati dell’ufficio del processo. Il programma c’è, ma non funziona ancora (se non a pelle di leopardo) né ci sono ancora i soggetti preparati e attrezzati per l’ufficio del processo. Senza alcuna preventiva formazione il nuovo istituto «strutturale» non potrà funzionare.
Altro rimedio proposto ed attuato dal Ministero è dato dalla riduzione degli atti difensivi. L’Anai ha sempre manifestato la propria contrarietà alla limitazione delle pagine degli atti difensivi. L’imposta sinteticità contrasta apertamente con il diritto di difesa e tende ad esonerare i giudici da un’attenta e circostanziata lettura degli atti e dei documenti, specie nelle cause complesse. Il problema non è quindi restringere l’esposizione delle ragioni della domanda o i motivi dell’appello o delle memorie difensive, quanto la corretta e approfondita valutazione delle ragioni e dei torti delle parti contendenti.
Le colpe sono sempre degli avvocati che compilano atti troppo lunghi e impugnano le sentenze dei giudici.
Piercamillo Davigo ha affermato che «da noi tutti fanno appello». Alle Corti di impugnazione (appello e cassazione) si riversa un numero di processi che non ha equivalenti in altri Paesi. Ma qual è la ragione principale delle molteplici ed intollerabili impugnative? Non certamente la litigiosità dei cittadini alimentata dagli avvocati. Il fenomeno è dovuto principalmente all’erroneità delle sentenze che dipende del fatto che - almeno per quanto riguarda gli appelli - i giudici di primo grado sono oberati di un numero di processi (più di mille-1.500 cadauno) che finiscono per smaltire con affanno ed approssimazione.
Si è scritto su «Il Corriere della Sera-Sette» che vanno presi con le molle i bilanci dei Tribunali. Le principali ragioni storiche sono due. La prima è che per molti anni tutti hanno dato i numeri perché nessuno aveva i numeri veri e nessuno li poteva avere perché quel tipo di sistema statistico era strutturalmente incapace di fornirli. La seconda ragione è che in certi uffici giudiziari è esistito per anni un «doping» dei numeri «gonfiati» per far apparire maggiori i flussi di lavoro sulla cui base Ministero e Csm poi parametravano periodicamente l’aumento o il taglio del personale e delle risorse.
Ben poco sappiamo, in concreto, circa i sospetti espressi dal giornale. Ma ciò che l’avvocatura conosce bene è che, nonostante l’effluvio di dichiarazioni ottimistiche, i processi durano sempre più a lungo e si susseguono forti disfunzioni organizzative. Dopo l’abolizione maldestra di innumerevoli tribunali efficienti e funzionanti, una Commissione ministeriale sta studiando come abolire alcune Corti di appello e sopprimere ulteriori Tribunali. L’Anai ha più volte espresso la propria contrarietà a tali ulteriori smantellamenti. Per far guarire i mali della giustizia non è necessario abolire presidi giudiziari sul territorio, ma basta far funzionare bene gli uffici esistenti, con risorse, informatizzazione, personale e dirigenti-manager. È sotto gli occhi di tutti il fallimento della revisione della geografia giudiziaria che ha portato alla soppressione in tutta Italia di molte centinaia di uffici giudiziari fra tribunali, procure della Repubblica, sezione distaccate e giudici di pace. Ora si intende ulteriormente aggravare la situazione della giustizia, sopprimendo alcune sedi di Corte di Appello e di Tribunale.
Giuseppe Bonsegna, già esponente dell’Oua e oggi all’Anai, ha denunciato il disegno scriteriato della politica affermando, a ragione, che dopo la soppressione degli uffici giudiziari il servizio giustizia non è affatto migliorato e i costi complessivamente considerati non sono affatto diminuiti, né per lo Stato né per i cittadini. Di qui la necessaria mobilitazione dell’Avvocatura che dovrà scendere in campo da subito e senza alcuna esitazione per il ripristino di alcuni Tribunali e per contrastare l’insano progetto di abolizione di sedi giudiziarie che funzionano. Gli avvocati devono promuovere forti iniziative a difesa dei cittadini che vedono ulteriormente allontanarsi la giustizia dal territorio.
Ad Oristano vi è stata una forte manifestazione dell’avvocatura guidata da Donatella Pau, presidente del Consiglio dell’Ordine di Oristano. Il timore è la chiusura del Tribunale di Oristano e della sezione distaccata della Corte d’Appello di Sassari. Questo, in sintesi, il discorso della Pau: «Bisogna intervenire a livello europeo, perché questi tagli servono al Governo per farsi bello in Europa, ma le linee guida dell’Unione Europea in materia di Giustizia vanno in senso contrario a quanto sta facendo la Commissione Vietti».
L’Anai è pienamente d’accordo con il Foro di Oristano e si è sempre battuta contro la revisione selvaggia della geografia giudiziaria, che ha dato luogo a pretestuose ed arbitrarie soppressioni di uffici giudiziari e conseguente declino della giustizia nei territori privati di presidi di legalità. In conclusione, sorprende la intenzione ministeriale di sopprimere altri uffici giudiziari, quando il «massacro» precedente dei tribunali e dei giudici di pace ha finito per aggravare lo stato precario e fatiscente della giustizia.   

Tags: Maggio 2016 Maurizio de Tilla giustizia

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