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Bruno Piattelli, stilista

Leggerlo e sentirlo parlare è un tutt’uno. Scivola la parola, abbellisce e ingentilisce il concetto, qualunque concetto. È come navigare su una piccola tranquilla scialuppa e ti sembra di stare sulla sua scialuppa, appunto, quella su cui si dondola da tutta la vita, sul suo mare, di cui oramai è sicuro, ha conosciuto e ci ha raccontato ogni goccia, ogni stilla per tutta l’estensione della costa.
Secondo me non ha incontrato solo «quell’ombra grigia profilata nell’azzurro», ma tutti i pesci e di tutti questi anni che sono trascorsi nel profondo del suo animo marinaro. I suoi libri, i suoi romanzi, sono l’elaborazione del modo di aver intrapreso l’attenzione continua, costante del mondo che lo circondava e quasi infastidito, talvolta, di doversene allontanare allungando l’occhio e l’analisi a persone o cose un po’, anche se non tanto, più in là, ma sempre nella misura di un orizzonte intellettuale senza limite.
Soffermarsi sulla bellezza di Roma, l’anatomia della quale nessun romano sarebbe capace di esprimere con tanto cuore napoletano sia pure che a Roma vive, è una raffinatezza letteraria che esprime considerazioni e proposte di una concretezza esemplare, con la dichiarazione chicca «a me non interessava Roma come luogo della mente. Mi interessava viverci», e forse ci ha guadagnato Napoli.
Ma come Morandi, con le sue bottiglie che sembrano ripetersi proiettandosi all’infinito, con le loro luci e le loro ombre, La Capria ci racconta la sua Napoli, ma soprattutto la sua Capri e la sua Ischia attraverso quel sole e quel mare con cui gestisce il suo mondo di poeta, come in questa summa di scritti dei suoi amici letterati che raccontano i suoi luoghi. La Capria trasferisce anche se stesso e s’immedesima nei loro testi, li ossequia, li esalta, vede con i loro occhi e prende le loro parti.
La «volgarità cosmopolita» di George Gissing è quella che tante volte lo fa penare riferendosi alla sua terra. Trapela invidia nella visione di Capri di Norman Douglas, avrebbe voluto scriverla lui.
E come s’entusiasma per l’ungarettiano «squalo smisurato carico d’oro» quando dice di Capo Palinuro; o come riflette con Burns «Napoli, la possiedo o mi possiede?», di quella Napoli la cui luce «specialissima» di Cesare Brandi è quella con cui lui la vede; e come un bambino di Positano guarda meravigliato i lavori senza fine della torre di Clavel. E dal libro di questi affiora la nostalgia del tempo che fu con la terza saletta di Aragno, a Roma, Diaghilev o Picasso, Cocteau o Depero, Massine o Sèmenov, e poi, un po’ più avanti nel tempo, ma sempre con la nuvola di fumo che tutti li avvolgeva, quelli che s’inebriavano di progetti artistici o politici che architettavano.
Scandaglia tra le onde e le sue isole quei luoghi che si sono modificati non solo per motivi fisiologici dell’ambiente, ma perché cambia l’ottica degli anni che passano e La Capria non sa darsene pace e allora li cita di nuovo stupendamente con «tutti gli dei che una volta vi abitavano li avevano silenziosamente abbandonati. Dudu, permettimi: l’aria che s’avvicina porta la voce gentile di Sophia che sui versi di Verde e sulle note di Trovajoli sospira che m’è ‘mparato a fa».   

Tags: Luglio Agosto 2016

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