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L’opinione del Corrierista

Son trascorsi 140 anni da quella prima domenica di Quaresima, 5 marzo 1876, quando, alle ore 21, vennero distribuite a Milano, in Piazza della Scala, le prime copie del neonato Corriere della Sera. Fu Eugenio Torelli-Viollier l’ideatore e il primo direttore del quotidiano destinato a diventare il quotidiano più letto ed autorevole. Gli inizi non lasciavano immaginare il successo di quei quattro fogli, in secondo piano rispetto ad altre più solide testate, vedi il modernissimo e tecnologicamente avanzato (stampava ben 250 copie al minuto) Il Secolo, che aveva già determinato la crisi dei concorrenti ed assorbito la Gazzetta di Milano.
Peraltro, il napoletano Torelli (il secondo cognome lo ghermì alla madre francese, Josephine Viollier), dopo le prime esperienze all’Indipendente di Alessandro Dumas padre, conobbe a Parigi l’editore Edoardo Sonzogno, che lo valorizzò nelle sue pubblicazioni milanesi, fra le quali proprio Il Secolo.
Nel primo editoriale, una sorta di franco colloquio col pubblico, Torelli-Viollier espone le linee guida, che, per la verità, cercherà sempre di rispettare nei suoi oltre vent’anni di direzione: «Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi... La tua educazione politica è matura. L’arguzia, l’esprit ti affascina ancora, ma l’enfasi ti lascia freddo. Vuoi che si dica pane al pane… Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch’ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour… Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo… Noi non nasciamo per far la guerra ai giornali del nostro stesso colore politico, non è ai loro lettori che diamo la caccia. È nel campo degli avversari comuni che confidiamo di raggranellarli. E che dovrebbe durare a Milano la voga di giornali che ogni giorno scoprono una nuova infamia del Governo? No, no, la classica terra del buon senso, la patria di Parini e di Manzoni, non può compiacersi a lungo di tali esagerazioni e stravaganze… Ai giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta…».
Tuttavia, nonostante l’impegno e l’autentica vocazione all’informazione il più possibile corretta, per veder crescere tiratura e vendite fin lì mediamente al di sotto delle 10 mila copie, bisognerà attendere l’ingresso, in veste di prodigo finanziatore, dell’imprenditore cotoniero Benigno Crespi, che nel 1885 arrischiò il proprio denaro, in foggia di editore puro - rara vis anche ai nostri giorni -, per ricavare profitto da un’intrapresa editoriale. La linea dettata da Torelli-Viollier e la lungimiranza di Crespi vennero premiate dall’affluire di nuovi sostenitori come Ernesto De Angelis, Luca Beltrami e, soprattutto, Giovanni Battista Pirelli. Salvo momenti di cadute di stile e «stravaganze», direttori e giornalisti del «Corsera» cercheranno sempre, anche nelle situazioni più difficili, di osservare deontologia e sobri stilemi delineati nel 1876.
Ebbene, io stesso nei lunghi anni di lavoro al Corriere d’Informazione e al Corriere della Sera, mi sono attenuto alla regola aurea di Torelli-Viollier: fatti e non meri significanti, misura e non retorica, proprietà linguistica e non parole in libertà, luoghi, nomi, date, dove, come, perché degli eventi, giammai chiose sovrapposte alla descrizione sino a deviarla dall’imperativo categorico: informare. A tale norma mi attenni quando quotidianamente cucinavo il pastone politico-parlamentare o, in qualità di inviato, volavo all’estero col fiato in gola, come per il reportage nell’ex Congo belga, dove tra l’incidente aereo che uccise il segretario generale dell’Onu, Dag Hammarskjöld (settembre 1961) e l’eccidio dei nostri 13 aviatori a Kindu (novembre 1961), io stesso la scampai per miracolo al linciaggio. Quando nel 1976, fui chiamato a battezzare le pagine romane del «Corsera», la fedeltà a quei principi fu ripagata dal crescere costante delle copie vendute. In pochi mesi dalle 15-17 mila, superammo le 42 mila. Anche nella stagione, invero felice per il numero di soggetti intriganti, singolari, straordinari, conosciuti e frequentati, di cronista mondano, evitai come il fuoco il facile scandalismo e le cadute pruriginose, impostando la satira di costume con ironia garbata e il sorriso di chi osserva senza giudicare.
Mi piace ricordare quanta parte della leggenda della «Dolce vita» capitolina sia scaturita dalle notti bianche trascorse a raccontarla, disegnando volti, ludi, costumi, trasgressioni, pose, colori e suoni di quell’umanità più o meno famosa, extra-vagante e nottambula, padrona di Via Veneto e dintorni. Lo stesso personaggio interpretato dal grande, indimenticabile Marcello Mastroianni nel film di Fellini - lo rivelò l’Observer, 7 febbraio 2010 - sembra ricalcato sulla mia persona di cronista onnipresente, infaticabile, aduso per solerzia professionale alla veglia piuttosto che al sonno.
Ebbene, nonostante non mi riconosca sempre nella mia antica cara testata, talora invasa da «stravaganze» magniloquenti o scandalistiche, non posso che festeggiare l’anniversario, augurando al «Corriere della Sera» altri 140 anni di corretta e sobria informazione.

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