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Le banche prestano denaro se puoi dimostrare che non ne hai bisogno

Massimiliano Dona, segretario generale dell’unione nazionale consumatori

«Un banchiere è uno che vi presta l’ombrello quando c’è il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere». A dirlo era Mark Twain, secondo il quale «le banche ti prestano denaro, se puoi dimostrare che non ne hai bisogno». Aforismi a parte, non siamo lontanissimi dalla realtà. È certo vero che le sofferenze bancarie dipendono dalla grave crisi economica, di cui anche le banche sono vittime, ma è anche certo che quando le imprese, allo scoppio della recessione, avrebbero avuto bisogno di maggiore liquidità e di un aiuto, i rubinetti sono stati chiusi. Molti imprenditori avrebbero potuto salvarsi se le banche non avessero ristretto i cordoni del credito chiedendo rientri immediati. Il famoso ombrello...
Da quando la Bce è intervenuta massicciamente con il «quantitative easing», nel marzo 2015, le cose sono cambiate, anche se troppo lentamente. Secondo gli ultimi dati di Bankitalia, i prestiti al settore privato su base annua salgono dello zero virgola mentre quelli alle società non finanziarie sono ancora in calo. Insomma, le banche fanno ancora male il loro mestiere, che è quello di far circolare moneta e di fare credito, senza il quale l’economia non può decollare.
Gli istituti di credito, a fronte di una contrazione dei tassi di interesse, che ha ridotto i loro margini di redditività, di costi ancora troppo elevati rispetto al resto d’Europa, tra tasse, costo ed esubero del personale, gestione degli immobili, hanno scelto la via più facile di ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e di rivalersi sulla clientela aumentando i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, bancomat, carte di credito, bonifici... I balzelli introdotti sono spesso fantasiosi. Inventare una commissione per il «recupero costi contazione monete metalliche» richiede un certo ingegno.
Secondo uno studio della Cgia di Mestre, nel 2015 l’incidenza percentuale delle commissioni nette sui ricavi delle banche italiane (pari al 36,5 per cento) è stata la più elevata d’Europa. Tra i principali Paesi Ue, in Francia la quota si è attestata al 32,9 per cento, in Austria al 27,5 per cento, in Germania al 26,2 per cento e nei Paesi Bassi al 17 per cento. L’anno scorso i ricavi netti derivanti dalle commissioni bancarie hanno sfiorato i 30 miliardi di euro (29,675 miliardi), quasi 5 miliardi (4,940 miliardi) in più rispetto al 2008.
In appena 7 anni i costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi bancari hanno subito in Italia un’impennata record del 20 per cento, un rialzo che non ha eguali nel resto d’Europa. Nel Regno Unito l’incremento si è fermato all’11,5 per cento, in Francia all’11,1 per cento, Spagna al 6,5 per cento, mentre c’è stata una diminuzione in Germania (-4,6 per cento), Belgio (-7 per cento) e Paesi Bassi (-27 per cento).
Il fenomeno non è in attenuazione. Rispetto al 2014 le commissioni nette sono salite di oltre 2 miliardi (2,102 miliardi), un balzo annuo da primato, pari al 7,6 per cento.
In questo contesto, ha suscitato particolare clamore l’idea del Banco Popolare di far pagare ai propri clienti, come regalo natalizio, un balzello una tantum di 25 euro per il parziale recupero dei contributi versati al Fondo nazionale di risoluzione. Insomma, una tassa sui salvataggi di Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche, costati alle banche circa 1,8 miliardi.
Ovviamente il Banco Popolare non è il solo ad aver adottato questa misura. Solo che lo ha fatto alla luce del sole, chiamando le cose con il loro nome. Non che questo attenui la gravità del fatto. Ma la verità è che altre banche lo avevano già fatto ed altre lo faranno. Tutto regolare? La Banca d’Italia si è limitata a comunicare che sta osservando con attenzione il comportamento di alcune banche nel ribaltare sulla clientela dei depositanti e dei correntisti i costi sostenuti per effetto delle crisi bancarie.
Via Nazionale opera e continuerà ad operare al fine di assicurare che le norme sui rapporti banche-clienti approvate dal Parlamento italiano non siano eluse ma pienamente applicate. In pratica, Bankitalia si limiterà a verificare il rispetto dell’art. 118 del testo unico bancario, sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, ossia preavviso di due mesi e possibilità di recesso senza spese alle condizioni precedentemente praticate. Poca cosa.
Ma perché tanta indignazione? Semplicemente perché si conferma quello che molti hanno sempre saputo. Ossia che le banche non pagano mai, neanche per i loro errori, e che alla fine a pagare sono sempre i soliti noti, noi consumatori. Come si dice, i soggetti percossi, chiamati per legge al pagamento, non coincidono mai con quelli effettivamente incisi, con i contribuenti di fatto. Chi se lo può permettere, trasla in avanti i suoi costi. Gli unici a non poterlo fare sono gli utenti finali. In fin dei conti, nulla è cambiato con la direttiva sul bail-in. Un tempo, quando una banca falliva, pagava lo Stato, ossia i contribuenti.
Dopo la direttiva a pagare dovevano essere i risparmiatori di quelle banche. Al di là del fatto che i risparmiatori sono sempre contribuenti che, per di più, sono stati truffati e hanno acquistato prodotti inadeguati al loro profilo di rischio, il punto è che se ora pagano tutti i correntisti di tutte le banche, vuol dire che pagano tutti gli italiani. Insomma, come direbbe Totò: e io pago.

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