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Filippo Leonardi: Aiop, ecco perché l’ospedalità privata è di aiuto al cittadino-paziente

«Il privato accreditato è una grande risorsa. Noi riteniamo irrinunciabile il Servizio sanitario nazionale pubblico, anzi, lo riteniamo la maggiore conquista dell’Italia del dopoguerra. Ma il decisore politico dovrebbe utilizzare un criterio meritocratico. La ragion d’essere del Servizio sanitario nazionale è il paziente: non possiamo permetterci di mantenere ospedali in deficit a danno del benessere pubblico»

L'Aiop, Associazione Italiana Ospedalità Privata rappresenta 500 case di cura operanti su tutto il territorio nazionale con oltre 53 mila posti letto, di cui 45 mila accreditati con il Servizio sanitario nazionale, 26 centri di riabilitazione con 2 mila posti letto di cui 1.800 accreditati e 41 RSA con 2.800 posti letto tutti accreditati. Si presenta così, con i suoi «credo»: «Crediamo nel cittadino, centro e ragion d’essere del sistema sanitario: una conquista dei valori democratici di partecipazione e di responsabilità della civiltà moderna. Crediamo nella libertà di scelta del medico e del luogo di cura da parte del cittadino-paziente, perché rispettiamo la sua dignità di persona e il suo diritto alla tutela della propria salute. Crediamo che l’emulazione tra le strutture sanitarie in un sistema di competitività regolata è garanzia di qualità delle prestazioni e di razionalizzazione delle risorse finanziarie. Crediamo di dover rispettare la dignità del cittadino-paziente offrendo un servizio che metta al primo posto i caratteri della qualità, della trasparenza, dell’efficacia e dell’umanizzazione delle prestazioni sanitarie».
Per migliorare l’erogazione dei propri servizi sanitari e soddisfare i bisogni dei cittadini, l’Aiop ha curato la redazione di una Carta dei servizi (1995), il Premio della Comunicazione e della Ricerca (2004-2005) e la stesura e la diffusione di molte pubblicazioni. A settembre 2014 ha aggiornato le linee guida sulla responsabilità amministrativa approvate dal Ministero della Giustizia. Aderisce a Confindustria e all’Uehp (Union européenne hospitalisation privée). Ne è direttore generale Filippo Leonardi, che a Specchio Economico spiega cosa distingue l’ospedalità privata da quella pubblica (e, soprattutto, cosa non le distingue), oltre a specificare in che modo non «sarebbe», bensì «è» possibile migliorare il sistema sanità.
Domanda. Cos’è l’Aiop e cosa ha rappresentato in questi 50 anni di attività?
Risposta. Lo scorso anno abbiamo festeggiato i 50 anni della nostra storia. L’Aiop oggi rappresenta circa 500 ospedali a gestione e proprietà private. Siamo presenti in tutte le regioni d’Italia. La nota importante è che più del 90 per cento delle strutture pur essendo private, lavorano per conto del Servizio sanitario nazionale. Molto spesso coloro che vi entrano nemmeno si accorgono che si tratta di ospedali privati, perché a tutti gli effetti entrano nel servizio pubblico. Questi ospedali sono retribuiti in base alle prestazioni effettuate, per cui hanno un contratto con le Asl e le varie prestazioni sono rimborsate all’ospedale privato.
D. Senza assicurazione?
R. Solo il ticket, quando questo è previsto ed è pagato sia nel privato accreditato, sia in un ospedale pubblico. Il resto è completamente a carico del Servizio sanitario nazionale. Quando si parla di privato si pensa alle cliniche non accreditate, che lavorano spesso con assicurazioni e fondi, ma sono veramente poche. Noi rappresentiamo circa quaranta strutture private non accreditate con il Servizio sanitario nazionale che sono localizzate a Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Napoli; ma tutto il resto dell’ospedalità privata opera per conto del Servizio sanitario nazionale ed è servizio pubblico a gestione privata, rappresenta una tipicità nel panorama dei Servizi Sanitari Nazionali.
D. In Italia che sistema vige?
R. Un sistema misto, per cui un 25 per cento delle prestazioni ospedaliere sono erogate da strutture a gestione privata, che però operano per conto del Servizio sanitario nazionale. Questa tipicità è stata particolarmente importante perché tali prestazioni ospedaliere hanno pesato sulla spesa ospedaliera pubblica per il 15 per cento: infatti, invece di essere remunerate in base ai propri costi, sono remunerate esclusivamente per le prestazioni che vengono effettuate.
D. Quale la differenza fondamentale tra una struttura pubblica e una privata?
R. La proprietà e la gestione delle strutture associate ad Aiop sono private, ma a regolare e a vigilare sulla qualità delle prestazioni è sempre l’organismo pubblico, l’Asl. Annualmente gli ospedali privati fanno dei contratti con la Regione in forza dei quali, erogano le prestazioni.
D. Per quale motivo un paziente dovrebbe scegliere un ospedale privato anziché un ospedale pubblico?
R. Al cittadino non interessa il marchio pubblico o privato accreditato, interessa essere curato bene, avere un buon confort e un’umanizzazione nell’accoglienza stessa. E non si pone la domanda se è meglio entrare in un ospedale pubblico o privato accreditato, non c’è differenza. Chiaramente, nel nostro caso, essendo privati e sapendo che bisogna conquistarsi la fiducia dei cittadini, cerchiamo di essere sempre qualitativamente avanti. Un esempio: stiamo facendo un’indagine sulle nostre strutture che hanno certificazioni di qualità, hanno risposto, per ora in 174, e 147 hanno tali certificazioni. Questi sono numeri che la struttura pubblica non ha.
D. Chi fa queste certificazioni?
R. Le agenzie di certificazione delle ISO 9000 e degli altri sistemi di qualità sono riconosciute a livello internazionale, società terze che non possono essere manipolate, ed è è richiesto un obiettivo percorso di qualità alle strutture valutate.
D. Come potrebbero dialogare nel modo migliore pubblico e privato?
R. In Italia abbiamo un grande deficit informativo-culturale. Spesso si sente parlare di sanità pubblica e sanità privata, ma confondiamo i termini ogni volta che crediamo che la sanità privata sia sempre a carico del cittadino, mentre è un servizio pubblico: si tratta di una sanità privata che opera all’interno del Servizio sanitario nazionale.
D. L’Aiop non dovrebbe fare una campagna informativa per mettere al corrente il cittadino di questa differenza tra pubblico e privato?
R. Questo sicuramente, ma il problema è culturale, per cui parlare di privato in sanità genera un pregiudizio e non si guarda alla qualità effettivamente offerta dalle strutture. L’approccio è più di tipo ideologico, e con questo non andiamo lontano perché accettiamo di mantenere ospedali pubblici che sono in deficit, a carico della collettività, mentre lo stesso servizio potrebbe essere prestato a costi inferiori da ospedali privati accreditati.
D. Cosa può dire riguardo agli sprechi del Servizio sanitario nazionale?
R. Gli osservatori parlano di cifre che si aggirano intorno ai 30 miliardi di euro, per cui spesso l’oculatezza nella gestione amministrativa riguarda fondamentalmente l’aggressione a questi sprechi. Nell’ospedale privato non ci sono sprechi, e dal punto di vista delle attrezzature, l’ospedalità privata non è certamente inferiore a quella pubblica, anzi, probabilmente ha la possibilità di investire molto più efficacemente nel miglioramento della qualità del servizio. Chiaramente, la gestione del personale e dei fornitori viene fatta con grande oculatezza, nel senso che il personale deve essere organizzato in modo razionale e ottimale perché non si verifichino sprechi. Il bene più prezioso per gli erogatori, come per ogni professionista, è la reputazione e su questa investiamo tantissimo. È chiaro che l’imprenditore deve avere un margine di profitto dalla sua attività e nonostante ciò il Servizio sanitario nazionale paga molto meno rispetto ad un ospedale pubblico. Non è possibile che una struttura privata eroghi le stesse prestazioni e riesca ad avere anche margini di profitto, mentre accanto c’è un ospedale pubblico con milioni di deficit. Il profitto è indice di buona salute della struttura e di buona gestione manageriale, non di mero risparmio.
D. Perché l’imprenditore privato è così «generoso» in sanità?
R. Non si tratta di essere generosi, ma di fare al meglio il proprio mestiere. Questo settore, poi, richiede un supplemento di passione, poiché si ha a che fare con persone nelle loro situazioni più fragili.
D. Perché alcune strutture private (lei ha parlato del 10 per cento delle vostre rappresentate) non scelgono l’accreditamento pubblico?
R. Sono scelte aziendali. L’interlocutore dell’ospedale accreditato è un’autorità pubblica, l’Asl e la Regione, con tutta la burocrazia che ne consegue; gli interlocutori degli ospedali non accreditati sono le assicurazioni, i fondi e direttamente il cittadino.
D. Quale futuro si prospetta per l’ospedalità privata italiana in un Sistema Sanitario Nazionale destinato a cambiare per poter reggere l’impatto con il problema demografico e della cronicità?
R. Lo stiamo valutando anche noi. Assistiamo ad una forte crescita di quelle strutture che si occupano di cronicità, e soprattutto delle strutture sociosanitarie, le RSA, «residenze sanitarie assistenziali».
D. Esse fanno parte del settore?
R. Solo parzialmente. In Italia abbiamo un settore ospedaliero, un settore socio-sanitario, in cui si trovano le RSA e in cui accanto all’assistenza sociale sono erogate prestazioni sanitarie, ed un settore completamente sociale, quello delle case di riposo. Le residenze sanitarie o socio-sanitarie assistenziali in questo momento sono in grande sviluppo proprio per rispondere al fenomeno della crescita demografica, soprattutto quella della popolazione anziana. Circa di queste aderiscono all’Aiop. Le case di riposo, invece, non possono aderire all’Aiop e non fanno parte del settore sanitario.
D. Per quanto riguarda l’offerta di prestazioni sanitarie, si può parlare di uno scenario uniforme?
R. Le prestazioni sono uniformi, nel senso che nel pubblico e nel privato sono le stesse. Ma è chiaro che qui stiamo parlando di arte medica, la quale è legata al singolo operatore. In uno scenario di prestazioni uniformi la differenza è data anche dal singolo professionista.
D. Qual è il punto di partenza di un’analisi del sistema sanitario? Come si configura oggi il privato? Come vede lo sviluppo del settore?
R. Il privato accreditato, come detto, si pone certamente come una grande risorsa. Noi riteniamo irrinunciabile il Servizio sanitario nazionale pubblico, anzi, lo riteniamo una delle maggiori conquiste dell’Italia del dopoguerra: avere un sistema universalistico, solidaristico, gratuito per i cittadini, è una grande affermazione a cui non vogliamo rinunciare, ma il decisore politico dovrebbe utilizzare un criterio di tipo meritocratico. La ragion d’essere del Servizio sanitario nazionale è il paziente, se si guardasse da questo punto di vista si farebbero scelte molto più razionali. Non possiamo permetterci di mantenere ospedali in deficit, perché tutto ciò va a discapito del benessere dei cittadini. Nella legge finanziaria del 2016 si prevedeva una penalizzazione per gli ospedali pubblici che continuano ad essere in grave deficit, e l’unica sanzione è stata la sostituzione del suo direttore generale. Questa scelta ci sembra insufficiente perché con l’alternarsi dei direttori generali la realtà non cambia. Se il deficit non è stato risanato, che si proponga ai privati la gestione! Abbiamo esperienze di strutture semi-pubbliche che sono state gestite da soggetti privati, e la differenza si è vista in tema di deficit coperti, in pochi anni di buona gestione.
D. Non ritiene che gli interessi del pubblico e del privato possano essere contrastanti?
R. Da un punto di vista aziendale sì. Ma questo contrasto dovrebbe essere gestito con il criterio della qualità e del merito dalla prospettiva della soddisfazione dei bisogni sanitari dei cittadini.
D. Un imprenditore sanitario come affronta un periodo di crisi economica come quello in atto?
R. L’unica crisi che ha conosciuto e conosce l’imprenditore sanitario privato è quella creata dal decisore politico per scelte non meritocratiche, ma di basate sulla compressione dell’attività. La vera crisi è quella sopportata dai cittadini che spesso cercano di andare in una struttura, anche privata accreditata, e non possono farlo. La Lombardia è una delle Regioni che attira più pazienti anche dalle altre Regioni italiane per il merito di avere strutture di eccellenza e per la qualità delle prestazioni erogate: proprio in questi giorni è in discussione un provvedimento che tende a limitare tali migrazioni. Una grande ingiustizia, perché chiunque deve poter scegliere dove curarsi.
D. E l’Aiop cosa fa per evitare tutto questo?
R. Compie un’attività di rappresentanza e di servizio ai propri associati; nei confronti delle istituzioni svolge un’attività di relazioni per far emergere questi problemi; cura ogni anno il Rapporto sull’ospedalità italiana pubblica e privata, svolgendo un’attività di scientifica di supporto. Non chiediamo una tutela per il privato, vogliamo la possibilità di competere offrendo il meglio ai cittadini italiani, a costi sostenibili per il Servizio sanitario nazionale.
D. Qual è la vera malasanità in Italia? I medici non sono bravi, sono superficiali, non c’è meritocrazia?
R. In Italia da diversi anni c’è un sistema di formazione continua della medicina, (ECM) cui tutti i professionisti sanitari sono obbligati; una struttura privata non può permettersi di avere professionisti che non siano all’altezza.
D. Quale sarebbe il sogno dell’Aiop?
R. Mi piacerebbe immaginare un decisore politico che faccia le sue scelte in base alla qualità medica e alla sostenibilità economica offerta dagli erogatori pubblici e privati, ma senza condizionamenti. Noi scommettiamo molto sul futuro, per questo da qualche anno abbiamo una sezione, l’Aiop Giovani per formare gli imprenditori sanitari del futuro.      

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