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le professioni per l’italia: liberismo e liberalismo

 anna maria ciuffa e maurizio de tilla

Nella disputa ancora attuale tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi su liberalismo e liberismo possiamo dare ragione ad entrambi. I due concetti vanno verificati in correlazione con l'etica sociale. Il liberismo, laddove può contribuire alla crescita del Paese e al benessere dei cittadini, è una ricetta ben accolta e salutare. Ma vi sono alcuni gravi inconvenienti. In un acuto scritto Sergio Romano ha osservato che non meritano la maiuscola le libertà degli imprenditori che comprano gli appalti con le armi della corruzione, quelle dei banchieri che hanno contribuito alla perdita del denaro dei propri clienti ma continuano a gratificare se stessi con generosi compensi.
Ci permettiamo di aggiungere che il liberismo non è certamente compatibile con un accentuato intervento dello Stato laddove colpisce il ceto medio, imponendo supertasse ai lavoratori autonomi e subordinati. Né è compatibile con le liberalizzazioni selvagge che sanzionano ingiustificatamente i professionisti e le imprese, minacciandone le libertà civili oltreché l’identità e la funzione sociale. Al «liberismo» si contrappone il «liberalismo», che ricerca una coscienza morale dell'individuo che all'interesse individuale antepone quello collettivo, che si basa sulla libertà spirituale e su un'alta concezione del bene pubblico, e che attribuisce attributi morali ai comportamenti di chi governa e di chi è governato. Ma il liberalismo non può essere un retorico strumento nelle mani di politici che predicano bene e razzolano male.

 

La concezione di Benedetto Croce

Secondo la concezione ideale di Benedetto Croce, la libertà in ogni propria espressione conferisce idealità alla realtà e realtà all'idealità, riconoscendone l'inscindibile unità che è, nello stesso tempo, presenza identitaria. Basandosi sulle libertà che man mano vengono a consolidarsi nel tessuto sociale e civile, la vita degli individui non appare più deserta di spiritualità e abbandonata a forze cieche ed estranee, ma si dimostra opera ed attualità dello spirito, riaffermando così l'ideale morale che è in ogni libertà, che significa anche rispetto della persona umana senza alcuna connotazione economicista e mercantile. Alla coscienza e volontà di libertà si riconducono tutte le virtù morali e tutte le definizioni che sono riferibili all'etica.
Con l'alto profilo etico si formano classi intellettuali e dirigenti politici. Senza etica nessuna società ha lunga vita. E la politica priva di etica pubblica finisce per deteriorare il tessuto sociale. Ma anche la libertà e l'etica conclamate vanno verificate. Secondo Benedetto Croce, l'assenso morale che si dà a particolari istituzioni non si riferisce alla loro astratta forma, ma alla loro efficacia pratica in dati tempi, luoghi, circostanze e situazioni. Anche il Montesquieu, che formulò la famosa teoria dei tre poteri - esecutivo, legislativo e giudiziario -, non era in grado di poter tranquillamente sostenere che con questo meccanismo istituzionale si generasse e mantenesse la libertà e si impedisse la servitù. In realtà la tripartizione dei poteri elaborata dal Montesquieu ha trovato collocazione a volte solo formale nelle Costituzioni repubblicane.
Benedetto Croce esprime una critica profonda ai liberali liberisti e alle rievocazioni e celebrazioni storiche che individuano nella libertà economica una premessa della libertà civile e morale. Le due libertà hanno una diversa natura ed anche una diversa etimologia. La vita umana non può essere soggetta a due leggi contrastanti, ma a un'unica decisiva ultima istanza che è la coscienza morale. La concezione di mercato è sussidiaria e condizionata dalle scelte etiche. Né è possibile individuare, nel libero mercato, un fattore autonomo di crescita civile e democratica. È un’utopia pensare che il «mercato» sia la morale, se non si pongono regole e limiti, e senza lottare i poteri forti che profittano della debolezza del sistema.
Non vediamo chi, in questa società piena di ingiustizie, possa garantire il corretto funzionamento del meccanismo concorrenziale, potenziando lo sviluppo economico e, nello stesso tempo, proteggendo i diritti di coloro che hanno una posizione più debole. Solo in questo modo si può coniugare il mercato con la libertà dell'individuo e con la giustizia sociale. Con ciò incardinando due principi fondamentali di qualsiasi politica sociale: la solidarietà, che di fronte all'interesse particolare esige la perequazione politico-sociale e la promozione del bene comune; la sussidiarietà, secondo la quale quanto la comunità può fare da sé non deve essere fatto dallo Stato o dall'entità sovrastante.
Possiamo condividere i sacrifici che il Governo chiede ai cittadini, ma alla condizione che siano equi e ben distribuiti. Non si può dare un qualsiasi consenso ad attacchi politici indegni che accusano intere categorie di formare «caste» e «corporazioni» che si avvarrebbero di privilegi nella realtà inesistenti. Anche per Luigi Einaudi i valori morali costituiscono una premessa del liberismo. Anzitutto, non può esistere libertà dello spirito e del pensiero dove esiste una sola volontà, una sola ideologia. La libertà del pensare è connessa con una certa dose di liberismo economico. Secondo la concezione storica del liberismo economico, la libertà non è capace di vivere in una società economica nella quale esista una varia e ricca giuntura di vite umane, indipendenti le une dalle altre. Lo spirito libero crea un'economia a se medesimo consona.

 

Il pensiero del card. Ersilio Tonini

Nella dialettica di due concezioni che hanno molti punti in comune, possiamo concludere con le parole di un mirabile recente intervento del cardinale Ersilio Tonini, che ha oggi 98 anni: «Semplicemente, ma non astrattamente, ci si dovrebbe sempre chiedere: il profitto che si raggiunge a che cosa e a chi è finalizzato, che cosa e chi deve servire? È necessario allora ricostruire nuovi percorsi e nuovi tessuti, perché è andato in crisi un modo di concepire l'economia: il modello dell'individualismo sfrenato, della competizione esasperata, di una concezione che ritiene il mercato al servizio del singolo, del più potente, un mezzo per raggiungere i propri obiettivi senza riguardo per nessuno; un mondo più interessato alla finanza che all'economia». In questa prospettiva si evidenzia, anche, tutta la sua carica di attualità. Sotto questo profilo, infatti, ogni riflessione sull'agire dell'uomo non può essere esaurita da una sola visione. L’agire economico non può essere ridotto a mero oggetto di riflessione matematica o statistica. Nel rispondere ai propri bisogni, «facendo economia» la persona non solo produce beni e servizi ma esprime sempre un desiderio di progettualità, e questo è un dono che va condiviso nell'interesse del nuovo modo di vivere insieme di cui necessita l'umanità. 

Tags: Marzo 2013

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