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Massimiliano Dona, segretario generale dell’unione nazionale consumatori

L'ultimo provvedimento del Governo Renzi è stato il varo della legge di bilancio. Un atto importante per scongiurare i rischi dell’esercizio provvisorio, rassicurare l’Europa ed evitare possibili ripercussioni sui mercati. Una manovra da 27 miliardi che contiene provvedimenti importanti ed utili per il Paese, a cominciare dalla riconferma del bonus di 80 euro per finire con la sterilizzazione della clausola di salvaguardia con l’aumento dell’Iva per oltre 15 miliardi che avrebbe inciso pesantemente sui consumi già stagnanti.
Tuttavia con un limite, che è poi forse stato quello del Governo Renzi, certamente attivo e dinamico, che ha affrontato più degli altri decine di problemi e questioni irrisolte che si trascinavano da decenni, ma che da un lato non sempre ha trovato la soluzione più idonea (a titolo di esempio si vedano i precedenti articoli sull’evasione del canone Rai piuttosto che sulle 4 banche fallite) o risolutiva e dall’altro, laddove era necessario stanziare risorse, non ha saputo dare una scaletta delle priorità. Non è dato sapere se per l’entusiasmo di fare o se per aumentare il consenso, ma certo qualche provvedimento in meno ma più mirato avrebbe consentito di concentrare maggiori risorse per le cose che davvero contano, a cominciare dal rilancio della crescita, che non può che passare dalla ripresa dei consumi, dato che il 60 per cento del Pil è composto dalla spesa delle famiglie residenti. Anche perché gli interventi a pioggia, che hanno contribuito a creare il debito pubblico, nella Prima Repubblica potevano pagare in termini elettorali, essendo generosi e cospicui, mentre le briciole che possono essere date in questa epoca di crisi e di spending review finiscono per scontentare anche chi le riceve e non si traducono in voti, come forse dimostra l’esito del referendum.
Sia chiaro che l’assalto alla diligenza nella legge di bilancio c’è sempre stato e in tal senso il Governo Renzi non è stato peggiore degli altri, ma certo non c’è stata alcuna svolta. In manovra ci sono 120 interventi di spesa. Come fa notare il Sole24ore, un comma su cinque prevede un impegno per le casse dello Stato. Solo per citarne alcuni: 83 milioni per le ciclovie turistiche nel triennio 2017-19, 20 milioni di euro all’anno per le finali di coppa del mondo di Sci del 2020, 1 milione all’anno al Coni, 15 milioni all’anno per il centro meteo, 3 milioni per la biodiversità marina, 2 milioni all’anno per il fondo per le rievocazioni storiche, 1 milione per la promozione del made in Italy, 2 milioni nel 2017 e 3 milioni nel 2018 e 2019 ai cittadini italiani con 4 o più figli che lavorano in un Paese Ue, 300 mila euro per gli invalidi di guerra, 3 milioni in tre anni alle associazioni combattentistiche, 5 milioni per le adozioni all’estero, 70 milioni alle province di Trento e Bolzano, 20 milioni per la promozione della lingua italiana all’estero (30 milioni nel 2018 e 50 nel 2019), 4 milioni all’anno per gli enti gestori di corsi di lingua all’estero, 1,3 milioni per il sostegno della stampa italiana all’estero, 5,5 milioni (16,5 nel triennio) per il prepensionamento dei giornalisti, 10 milioni per le fondazioni liriche e via discorrendo. In totale un miliardo e mezzo (1,513 milioni) nel solo 2017 per fondi ad hoc, che salgono a 1 miliardo e 689 nel 2018 e a 1 miliardo e 886 nel 2019.
Non si tratta di entrare nel merito delle singole voci, ma certo se il Fondo per la lotta alla povertà, che nel 2015 ha raggiunto il primato di 4,6 milioni di poveri assoluti, viene incrementato di appena 150 milioni, quando lo stesso ministro Poletti ne aveva chiesti 500, è evidente che il Governo, come ahimè i precedenti, non aveva chiare le priorità di questo Paese. L’Istat ci ha detto nei giorni scorsi che il 39,9 per cento degli italiani non può permettersi una spesa imprevista di 800 euro. È questa l’urgenza, sociale ed economica. Ci sono in questa manovra alcuni provvedimenti che vanno nella giusta direzione, dal bonus di 80 euro all’aumento della quattordicesima, ma persino in questi casi sarebbe stato opportuno seguire il consiglio del presidente della Corte dei Conti, Arturo Martucci di Scarfizzi, che in audizione sulla legge di Bilancio aveva consigliato, per gli interventi a sostegno delle famiglie, visti i limitati margini finanziari, un più esteso riferimento alle condizioni economiche complessive indicate dall’Isee. Uno strumento importante per consentire di orientare al meglio le risorse disponibili. Parole inascoltate.
Anche Bankitalia aveva auspicato interventi più organici e sistematici per evitare sovrapposizioni o aree scoperte e l’Ufficio parlamentare di bilancio aveva evidenziato le molte misure frammentarie difficilmente riferibili a un disegno organico di politica economica («gli interventi a sostegno della famiglia sono di modesta entità, frammentari e non selettivi dal punto di vista dei mezzi»). Basti pensare ai vari bonus (stradivari, 18enni, bebè, nido) dati a tutti, anche a chi non ne ha effettivamente bisogno. Un regalo inutile per chi è benestante, uno spreco intollerabile in epoca di ristrettezze. Non sono spiccioli, se si pensa che per il bonus nido lo stanziamento del 2017 è pari a quello del Fondo povertà: 144 milioni.
L’auspicio è che ora il Governo Gentiloni decida qual è la priorità del Paese. Per l’UNC è la riforma del fisco. Cosa certo impossibile da attuare se si vogliono ridurre le tasse a tutti, ma fattibile se, nel segno dell’equità, ci si concentra su quel 39,9 per cento di italiani che non possono permettersi una spesa imprevista di 800 euro.  

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