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OUA


LE PROFESSIONI
TRA LO STATO E IL MERCATO RISCHIANO DI PERDERE
LA PROPRIA IDENTITÀ


di MAURIZIO DE TILLA
presidente dell'O.U.A.
(Organismo Unitario Avvocati)

Abbiamo due elefanti
nella nostra società,
che con la loro grande mole
abbattono ogni ostacolo
che incontrano sul proprio
cammino, compresa
la cultura, divenuta
un fatto marginale. Il primo
è lo Stato: chi oggi va
al Governo lo fa
per esercitare un potere
accentratore e personale.
L’altro elefante è il mercato,
che vuole imporre a tutti
un modello ispirato
esclusivamente al profitto

iviamo in un momento di grave crisi ideologica e morale, economica e materiale. Una vera e propria crisi di identità. La crisi economica non finirà, anzi esploderà in un sistema basato sull’euro, che si regge solo se ha dietro uno Stato e un’armonizzazione fiscale. Abbiamo un’Europa che non è uno Stato, non c’è la parte politica, c’è solo la parte economica, ed ogni Stato che vi partecipa ha una propria identità e segue i propri egoismi. La caduta dell’euro comporterà uno sconvolgimento dei rapporti consolidatisi lungo una direzione che, secondo Zigmunt Bauman, è pericolosissima. Cosa l’euro ha sviluppato di negativo? Una nuova potenza, che è una prepotenza: quella dei poteri forti, dei poteri economici delle multinazionali. La società civile non è più governata dai valori, bensì dal mercato, la cultura è sostituita dall’ideologia del mercato e il lavoro intellettuale, come quello dei professionisti, è diventato nella configurazione sociale un prodotto, a tal punto che si pretende che la prestazione di un architetto, di un notaio, di un avvocato venga identificata alla stregua di una merce.
Abbiamo due «elefanti» nella nostra società, che con la loro grande mole abbattono ogni ostacolo che si pone sul proprio cammino, compresa la cultura che è diventata un fatto marginale. Un primo elefante è lo Stato. È oggi inutile parlare di democrazia e di bene pubblico: chi va al Governo lo fa per esercitare un potere accentratore e personale. Si è diffusa anche in questo Paese una visione statocentrica che favorisce l’uso personale del potere pubblico. Il secondo elefante è il mercato, che vuole imporre a tutti un modello ispirato esclusivamente al profitto. I cittadini sono educati ad uniformarsi ad uno stile di vita che coincide con una visione meccanicistica. Si è riusciti, attraverso una deformata informazione e una manipolata comunicazione, a fare in modo che la gente viva come il mercato vuole.
Bauman ha scritto un libro sul «capitalismo parassitario»: il fatto di stabilire che una società debba essere ispirata a principi mercatilistici e che l’economia debba prevalere sui valori civili e sulle persone ha determinato una trasformazione deteriore del capitalismo che, nella concezione originaria, tendeva essenzialmente allo sviluppo della produzione e dell’economia di un Paese. Ma oggi? Esso non sviluppa più i fondamentali del lavoro e del capitale ma corrode e sfrutta le radici dello sviluppo fino ad annientarle. Quindi si trasferisce sul terreno di un altro soggetto per continuare la propria opera. Il capitalismo è in gran parte parassitario e sviluppa ed incrementa il capitalismo finanziario. Con tutte le connesse «bolle» e la vertiginosa speculazione derivante da «subprime», derivati e furberie che arricchiscono pochi soggetti speculatori.
C’è una trasformazione progressiva dell’idea di cultura dalla sua concezione originaria di ispirazione illuministica ad uno strumento di opportunismo e di guadagno, una sostanziale emarginazione dell’intelligenza che viene annientata dai poteri forti che promuovono l’emancipazione dei mercati senza valori e senza regole. Che cosa si sta tentando di fare nell’intreccio perverso tra politica ed economia?
Si tende anzitutto a estraniare qualsiasi fattore etico, tagliando le gambe ai valori sociali e introducendo solo competitività di prezzi e di prodotti, nell’ottimizzazione dei risultati di un tale discutibile sistema. Dice Bauman: non si parla più di radici, mentre quando si pensa al futuro dobbiamo pensare prima alle radici. Al posto delle radici abbiamo le «ancore» in una società che è diventata un mare aperto e insicuro. L’individuo è diventato consumatore, e lo Stato non è più il padre di famiglia che protegge la persona, bensì il divoratore e distruttore dell’essenza dell’individuo, che incoraggia l’individuo a contrarre debiti. E lo Stato sperpera. Come può l’Italia uscire da una crisi quando c’è un debito sovrano di 1.900 miliardi di euro costituito per effetto di corruzioni, evasioni, sprechi, appropriazioni del bene pubblico? Si sono susseguite inutili manovre economiche che tutto riducono tranne il debito sovrano, e c’è in generale una spinta per indurre il privato a indebitarsi, per godere meglio di un benessere collegato all’uso di tutti gli strumenti che hanno cambiato negativamente l’individuo. L’assenza di etica è il punto più alto della nostra denuncia.
E qui passo al tema delle professioni. Con le liberalizzazioni selvagge si sta demolendo la natura intellettuale dell’attività professionale. Il discorso è partito con la spinta del Governo Prodi-Bersani ed è proseguito con le indebite ingerenze della Confindustria e con la subordinazione della politica alle direttive dei poteri economici. Si parte da un errore macroscopico che va corretto. Le professioni non possono essere assimilate alle imprese né sono assoggettate alle garanzie della concorrenza. È forte il contrasto genetico e strutturale tra le regole delle professioni e le regole dell’impresa, e profonda la disomogeneità tra le due attività. Perseguendo la sua finalità, la visione mercantile tende a sopraffare l’identità del lavoro dei professionisti. Segnatamente, l’avvocatura deve considerarsi estranea a ogni iniziativa di liberalizzazione selvaggia perché è un soggetto di rilevanza costituzionale, essenziale nella giurisdizione in quanto titolare della funzione di tutela dei diritti individuali dei cittadini.
Il professionista, espressione di valori civili del mondo del lavoro, non può essere collegato a principi e meccanismi che riguardano le imprese, spesso prive di etica e senza i valori dell’indipendenza, della dignità e del decoro. La Corte europea di giustizia ha più volte riconosciuto l’indipendenza, l’assenza di conflitti, il segreto professionale e la confidenzialità quali valori fondamentali delle professioni legali. L’importanza di una condotta etica, del mantenimento della confidenzialità con i clienti e di un alto livello di conoscenza e di formazione, impone sistemi di autoregolamentazione identitaria e tradizionale quali quelli applicati dagli Ordini professionali e sanciti dagli ordinamenti che non possono ispirarsi alle attività economiche e all’articolo 41 Cost.; la specificità di ciascuna attività professionale, con la rilevanza degli interessi coinvolti, determina che qualsiasi proposta di revisione degli ordinamenti non contrasti con l’identità dei professionisti e deve essere «concertata» con le rappresentanze di categoria.
Se le professioni perdessero identità verrebbero volgarizzate, subentrerebbe il caos e il mercantilismo professionale con una perdita di qualità con livellamento verso il basso. Si è più volte denunciato che qualsiasi indirizzo legislativo volto a considerare imprenditore il professionista finirà per sopprimere nella sostanza tutto il settore delle libere professioni. E ciò in controtendenza: non vi è alcun dubbio che l’unica forma di lavoro che ha rappresentato negli ultimi anni un’alternativa seria e completa al lavoro industriale è quella professionale, ossia quell’attività espletata nell’ambito di una professione intellettuale riconosciuta con principi antitetici al modello tayloristico (dotata di completa autonomia e indipendenza, caratterizzata dalla completezza dell’operazione e che si basa su conoscenze tecnico-scientifiche che ne fondano la natura intellettuale).
Una modernizzazione delle professioni non implica che il quadro normativo e ordinamentale vada sconvolto e che i professionisti debbano alterare la propria funzione diventando imprenditori e acquisendo capitali di terzi al fine di «ingigantire» la propria organizzazione e monopolizzare offerte di servizi. Il valore che essi rappresentano va salvaguardato e può assimilarsi ad un prisma esagonale rappresentato dalla natura intellettuale della prestazione, dal rapporto fiduciario con il cliente, dall’elevato grado di affidabilità, dalla tenuta etica dei comportamenti, dal prestigio del ruolo sociale e infine dagli influssi pubblicistici delle funzioni. Si è detto opportunamente che un’eventuale alterazione del sistema professionale accrescerebbe il disagio e il disorientamento di tutti coloro che, nell’ambito del gruppo sociale delle professioni, contribuiscono da tempo allo sviluppo economico e civile del Paese.

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