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GIOVANNI PISANU: L'ITALIA CHE VOGLIAMO A BAHIA È LA STESSA CHE VOGLIONO I BRASILIANI

È dal Medioevo che i consoli assistono la propria comunità d’origine in terre lontane; già nel 1300 il console fiorentino tutelava i mercanti che operavano nella città di Costantinopoli perché mantenessero i privilegi loro concessi dall’imperatore bizantino. Dato il forte legame di tale figura con il territorio alieno di uno Stato ospitante, nei tempi moderni sempre più Paesi hanno richiesto l’attivazione di uffici consolari, fino a firmare nel 1963 la convenzione di Vienna, presa d’atto formale della distinzione e dei ruoli dei consoli onorari e di carriera. Il consolato onorario è un ufficio di rappresentanza retto da un cittadino dello Stato ospitante che agisce su richiesta ed exequatur dello Stato inviante. In assenza di rappresentanza diplomatica poi, il consolato onorario, che normalmente compie atti giuridici di diritto interno e svolge questioni burocratiche di carattere non internazionale, può svolgere alcune delle funzioni dell’assente ambasciata. I consoli sono funzionari dipendenti dal ministero degli Affari esteri sia nella veste di inviati (o di carriera) sia in quella onoraria (o di eletti), ma questi ultimi si attivano a titolo non professionale.

I consoli onorari italiani sono riuniti nell’Ucoim, l’Unione dei consoli onorari d’Italia nel mondo, che promuove il coordinamento tra essi e con il ministero degli Affari esteri, ed è presieduta da Giovanni Pisanu, console d’Italia in Brasile per lo Stato di Bahia. O «viceconsole», se si considera l’origine dell’ufficio, che è il distaccamento del consolato generale avente sede a Rio de Janeiro. A Salvador da Bahia, nell’edificio della Casa d’Italia che ospita nel proprio interno la sede baiana del consolato onorario, Pisanu descrive i problemi derivanti dall’assenza di fondi destinati all’ufficio onorario, composto da volontari privi di stipendio e delle immunità destinate ai diplomatici. Mentre squilla in continuazione la linea telefonica di emergenza per i cittadini italiani che hanno eletto Bahia come seconda casa, fa il punto sulla situazione di un Paese, il Brasile, destinato a divenire uno dei punti di riferimento dell’economia mondiale: insieme a Russia, India e Cina è uno dei BRIC in quanto caratterizzato, come essi, da una forte crescita del prodotto interno e della quota nel commercio mondiale.

Domanda. Innanzitutto può illustrare la distinzione, non chiara ai più, tra console di carriera e console onorario?

Risposta. La differenza fondamentale è che quest’ultimo è un cittadino che risiede nello Stato di arrivo e, per ciò stesso, oltre a poter svolgere la funzione consolare affidatagli dal Paese di origine, non ha incompatibilità alcuna in relazione alla propria attività professionale. Lo Stato inviante, infatti, compie dei sondaggi per verificare chi, tra i cittadini, è disponibile a ricoprire tale carica, senza che presenti un particolare curriculum o sia iscritto a determinate liste.

D. Qual è la sua storia professionale?

R. Sono a Bahia da 36 anni, da 12 ricopro la carica di viceconsole onorario e da 22 quella di delegato della Camera italiana di commercio nello Stato di Bahia. Venni in Brasile nel 1975 con una società italiana, legato a un contratto della durata iniziale di un anno esteso in seguito per altri due anni dopo i quali, insieme ad altri soci, fondai una società di diritto brasiliano attiva nel settore metalmeccanico, dedita alla fabbricazione in serie di gru idrauliche. Successivamente, per i cambiamenti del mercato, decidemmo di interrompere la fabbricazione seriale a favore di quella su ordinazione. Da alcuni anni, già attivi nella produzione dei macchinari, iniziammo la produzione di macchine e componenti per il settore della finta pelle e, rimanendo nello stesso comparto, con altri soci italiani decidemmo di prendere la strada della produzione e commercializzazione di prodotti chimici. La mia formazione imprenditoriale italiana si è arricchita così dell’esperienza brasiliana, anche ricoprendo altre posizioni all’interno di distinte società a Bahia. Lavorare nel settore commerciale mi ha dato modo di girare e conoscere tutto il Paese con l’obiettivo di creare una rete commerciale funzionale e di visitare mensilmente i rivenditori presenti nell’intero territorio; ciò mi ha anche dato una visione molto ampia del Paese, com’era e com’è oggi.

D. Per la convenzione di Vienna, lo Stato che esprime l’intenzione di essere rappresentato da un console onorario in una data area sceglie l’individuo destinato a tenere i rapporti professionali, commerciali, culturali tra la circoscrizione di residenza e quella di riferimento. Come si è trovato a svolgere questa funzione?

R. Precedentemente già nel 1990 ero stato valutato per un eventuale inserimento ma non avevo dato la mia disponibilità; nel 2000, invece, mi dichiarai disposto a ricoprire il ruolo di console onorario. Ci sono due modi: candidarsi direttamente o ricevere la richiesta di disponibilità direttamente dal consolato generale nell’atto di sondare i cittadini residenti nello Stato ricevente. La procedura vuole che il consolato indichi alcuni soggetti nel proprio bacino territoriale, quindi normalmente la valutazione passa all’ambasciata di riferimento, che aspetta a sua volta una formalizzazione governativa del ministero degli Esteri italiano. Nel mio caso, fui sondato forse perché già rappresentavo la Camera italiana di commercio a Bahia e giù costituivo perciò un punto di riferimento locale in relazione ai fatti italiani, oltre a parlare fluentemente le due lingue e, naturalmente, a svolgere un’attività compatibile con la figura del console onorario.

D. Come svolge il suo incarico?

R. Data la mia presenza costante nel territorio baiano dal 1975, ho una profonda conoscenza dell’intera regione. Dal 2000, ossia da quando sono entrato in carica, ho avviato un’efficace operazione di gestione del consolato italiano in questo territorio, anche attraverso l’integrazione delle attività delle gestioni consolari anteriori. Faccio in modo che si operi come fossimo un «vero» consolato, non un mero trait d’union con l’ambasciata e il consolato di riferimento a Rio de Janeiro. Nei nostri uffici esistono oggi circa 14 mila registri di tutti i tipi, e dal 2000 esistono un registro e la documentazione di ogni operazione svolta. Mantengo uno stretto contatto con gli uffici di Rio e di Brasilia. Il volume di persone con le quali il nostro consolato ha rapporti di ogni tipo è molto elevato e ciò provoca spese che sosteniamo direttamente, poiché esulano dall’ammontare dei contributi che riceviamo e che ci lasciano tra l’incudine e il martello, ossia tra l’interesse ad offrire servizi efficienti e i costi che essi implicano. E infatti in parte è la mia stessa ditta a sostenere tali costi.

D. Lei presiede l’Unione dei consoli onorari d’Italia nel mondo. Che cosa è?

R. Accogliendo l’invito dell’Ucoi, l’Unione dei consoli onorari d’Italia, attiva sin dal 1977, l’Unione dei consoli onorari italiani nel mondo Ucoim è nata a Roma nel 2004 con 70 rappresentanti iniziali dello Stato italiano in 31 Paesi. Ha come scopo promuovere il più efficace coordinamento tra i consoli onorari d’Italia all’estero e tra questi e il ministero degli Affari esteri, favorendo la diffusione delle informazioni e armonizzandone le attività nella migliore e più efficace difesa della funzione. Stiamo preparando un congresso che si terrà tra il 15 e il 20 novembre a Salvador, al quale saranno invitati l’ambasciatore e tutti i consoli italiani in Brasile, per fare il punto sulla situazione dei consolati onorari: i problemi, gli orizzonti, le forme che si possono immaginare per guidare noi consoli verso una maggiore integrazione del lavoro che compiamo nel contesto della più vasta rete diplomatica. Ci attendiamo la partecipazione di tutta la rete onoraria, anche se siamo consapevoli delle difficoltà insite nel raggiungimento di una meta tanto lontana quale Salvador da Bahia. Ma la scelta è caduta su questa città proprio per il riconoscimento dell’attrattiva ulteriore che essa rappresenta e che potrebbe, da sola, spingere la rete locale alla partecipazione.

D. Quali sono i rapporti del consolato onorario con l’ufficio diplomatico?

R. Gli uffici onorari svolgono un lavoro periferico, di supporto alla rete diplomatica ma non meno importante: sono, infatti, punti nel territorio che danno stabilità alla macchina consolare in un Paese come il Brasile in cui le distanze sono immense. Poiché tutto quello che noi facciamo è subordinato all’ufficio diplomatico, i nostri rapporti con l’ufficio di riferimento, che in questo caso è il consolato generale di Rio de Janeiro, sono molto intensi e, proprio come un ufficio collegato, prepariamo, con limitata autonomia, la stragrande maggioranza delle pratiche dirette a Rio, dove sono concluse.

D. Perché, piuttosto che inviare le pratiche all’ufficio diplomatico di Rio, esse non sono completate presso il consolato onorario di Salvador che le espleta?

R. È difficile far capire agli utenti che questo è un Ufficio onorario, ossia non dotato di autonomia in tutti i servizi richiesti e con scarse risorse finanziarie. Si tratta quasi di un lavoro volontario. Inoltre il console onorario può compiere solo atti descritti nel decreto del proprio limite di funzioni, aventi perlopiù natura amministrativa; è l’ufficio diplomatico ad essere competente per quanto riguarda il resto, salvo che non vi sia espressa delega.

D. Quali sono le regole di ingresso per un europeo nello Stato brasiliano?

R. Le regole sono dinamiche e cambiano con le reciprocità tra Paesi; un turista europeo può visitare il Brasile per un tempo di massimo di 180 giorni nell’arco di 360, e se negli ultimi 360 giorni si è verificata, una permanenza superiore, potrebbe essergli negata l’entrata; lo stesso vale per il brasiliano in territorio italiano. Recentemente è stata riaffermata, anche in Brasile, una regola applicata in quasi tutta l’Europa: dopo un soggiorno massimo di 90 giorni nel Paese ospitante, prima di un secondo periodo è necessaria una permanenza di 90 giorni fuori dello stesso, ed è nell’assoluta discrezionalità dell’ufficiale dell’immigrazione la decisione sull’ingresso. Bisogna inoltre dimostrare di essere in possesso di un passaporto valido per almeno altri 180 giorni oltre la data di rientro, di un biglietto di andata e ritorno con le date fissate, di un indirizzo di domicilio nel corso della visita nel Paese e di una disponibilità finanziaria.

D. Qual è la situazione finanziaria dell’ufficio consolare onorario?

R. I consolati onorari e i relativi uffici soffrono perché, per i tagli dei finanziamenti degli ultimi anni, ricevono una somma assolutamente insufficiente per i compiti che devono svolgere; ciò li mette in una situazione delicata perché un buon servizio comporta una spesa, e quando non esiste una disponibilità adeguata alla manutenzione di un ufficio si corre il rischio di diminuire la qualità del servizio stesso. Personalmente ritengo che si debbano individuare e creare le condizioni che consentano all’ufficio onorario di offrire un servizio di buon livello.

D. Che rilievo ha lo Stato di Bahia rispetto al resto del Paese?

R. Lo Stato di Bahia non è comparabile, sul piano economico, con San Paolo, Rio de Janeiro, Belo Horizonte o Porto Alegre ma mantiene pur sempre il quinto o sesto posto ed esercita un forte richiamo turistico specialmente per i nostri concittadini: nel turismo Bahia è seconda solo a Rio, se si considera quello di San Paolo come prevalentemente turismo di affari. La presenza italiana in questo Stato figura sempre nei primi tre posti.

D. Com’è visto il turismo italiano?

R. Il turismo dall’Italia è un dato molto positivo, ma l’altra faccia della medaglia è costituita dai molti turisti che vengono a Salvador per finalità non condivisibili. Si tratta di un problema, non solo italiano, ricorrente e delicato, reso più grave a volte da un biglietto di sola andata e da scarse disponibilità finanziarie che possano consentire anche il rientro, contro le regole, contro il buon senso e contro quanto stabilito dal trattato di Schengen. Anche a causa di recenti fatti di cronaca politica, in Italia il Brasile si collega più al transessualismo e al turismo sessuale che alla cultura e all’economia, stimolata dai rapporti esistenti tra i nostri Paesi, che, nonostante siano intensi, passano inosservati.

D. Dov’è più presente l’imprenditoria italiana in Brasile, e in quali settori?

R. Indubbiamente predomina a San Paolo, e senza distinzione di particolari settori. Non dobbiamo dimenticare che l’immigrazione italiana in questo Paese, a partire dalla fine dell’800, ha contribuito in forma massiccia e coerente allo sviluppo di determinate aeree, principalmente negli Stati del centro-sud, di San Paolo, Rio Grande del Sud, Santa Catarina. La presenza italiana, all’inizio qualificatasi con una manodopera in sostituzione di quella di origine africana che era stata abolita con la fine della schiavitù, ha saputo trasformarsi in manodopera apprezzata e rispettata. Dopo la seconda guerra mondiale i flussi dall’Italia verso il Brasile si sono infittiti, favoriti anche dagli stessi Paesi, fino alla grande immigrazione degli anni 50 di natura prettamente agricola. Tale processo ha subito un ulteriore cambiamento negli anni 60-70-80, quando l’immigrazione ha assunto un carattere professionale con l’arrivo di tecnici e di investimenti, sebbene a mio parere l’Italia non sia stata aggressiva come altri Paesi europei, che della loro colonia in Brasile hanno fatto una testa di ponte per le loro relazioni bilaterali. Peraltro l’italiano, abituato ad integrarsi molto bene nelle comunità di arrivo, si trova al di sotto della sua stessa capacità di interrelazione su tutti i piani, nonostante goda di un’evidente simpatia da parte della popolazione brasiliana, ulteriore motivo per un’integrazione che di fatto non avviene.

D. Com’è per un italiano fondare un’impresa in Brasile?

R. Teoricamente facile, non lo è all’atto pratico: il sistema fiscale brasiliano è complesso e non è così semplice gestirlo. Inoltre, come stranieri, si compie costantemente l’errore di pensare di poter insegnare tutto nel Paese ospitante, mentre bisogna essere capaci di imparare e di adeguarsi alle situazioni locali.

D. La crescita dei rapporti con il Brasile è costante anche in Italia. A che si deve?

R. Il Brasile sta richiamando l’attenzione mondiale per una serie di coincidenze che lo vedranno in breve protagonista di molti eventi di importanza mondiale, dalla visita del papa in onore dei giovani, ai campionati del mondo di calcio nel 2014 e alle olimpiadi del 2016, e per la capacità che ha avuto di superare la crisi mondiale, oltreché per le sue note caratteristiche consistenti in condizioni locali di grande attrattiva, in una mentalità molto vicina a quella occidentale, nei suoi 190 milioni di abitanti, nella presenza di numerosi cittadini provenienti dai Paesi europei e di risorse che attendono di essere sviluppate. Le statistiche indicano che la crescita demografica del Paese si sta modificando, avvicinandosi agli standard internazionali, con la previsione di raggiungere l’equilibrio demografico intorno al 2030-2040. Il Brasile è quasi un continente ed è grande due volte e mezzo l’Europa. Quando la popolazione si sarà stabilizzata, sono sicuro che si avvierà un altro grande processo caratterizzato da un salto qualitativo che, finalmente, sarà al di sopra delle necessità della popolazione.

D. Il problema della sicurezza individuale in Brasile è molto elevato. Cosa può dire in proposito?

R. È vero che questo Paese registra indici statistici di microcriminalità molto delicati, ma non è opportuno compiere valutazioni in casa di altri. Del resto anche in tante città italiane abbiamo problemi simili. Direi che questo fa parte del ciclo di evoluzione di ogni Paese; le situazioni sociali ed economiche migliorano nella misura in cui lo strato medio della popolazione è messo in condizione di vivere, lavorare, guadagnare e prendersi cura della propria vita. Le autorità locali stanno compiendo un grande sforzo per diminuire la portata di tale problema.

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