back


SPECIALE
ENERGIA
NUCLARE
APRILE
2011

 


Roberto Adinolfi

ROBERTO ADINOLFI: ANSALDO NUCLEARE,
ALLA BASE DELLA SCELNTA PIÙ INFORMAZIONE,
MENO EMOTIVITÀ

«Un investimento come quello richiesto dalla costruzione di un impianto nucleare si giustifica solo se c'è ogni certezza che possa essere sfruttato in piena sicurezza per tutta la durata della sua vita. Da questo presupposto derivano le considerazioni relative ai vantaggi che esso può dare»

 

ono cinque le date che vengono ricordate in tema di emergenza nucleare. E tutte accompagnate da una sostanziale paura. Per gli europei la prima è il 26 aprile 1986 quando, alle ore 1,22, a 130 chilometri da Kiev, nella centrale ucraina di Chernobyl, che era un vecchio manufatto nato per usi militari e riadattato per produrre energia elettrica, il computer lanciò un segnale preoccupante: era necessario interrompere le procedure di manutenzione in corso e procedere all'immediato spegnimento del reattore numero 4. Cosa stesse accadendo non si è mai potuto chiarire con certezza, salvo che un'esplosione abbia distrutto edificio e impianti provocando l'improvvisa emissione nell'atmosfera di polveri, frammenti radioattivi, vapori, combustibile.
Non è stata mai chiarita con certezza tecnico-scientifica la causa dell'esplosione dell'impianto. Nel Post Accident Review Meeting di Vienna è stata riportata la sottolineatura, fatta dalla delegazione sovietica, di errori umani di manovra e di valutazione, di un insieme di cause tecniche e costruttive, legate alle intrinseche caratteristiche del reattore RBMK, instabile a bassa potenza. Il «pennacchio radioattivo» si diffuse nei Paesi del nord-ovest, arrivando successivamente sull'Europa centrale e sul Mediterraneo settentrionale. L'agenzia sovietica Tass qualche giorno più tardi confermò l'accaduto con un comunicato di sei righe. Ed è questo l'incidente che tutti ricordiamo, specialmente in Italia, dove veniva fortemente sconsigliato di mangiare lattuga proveniente dalla Svezia perché toccata dalla nube atomica.
Per gli Stati Uniti la data di importanza nucleare è precedente: 29 marzo 1979, quando in Pennsylvania, ad Harrisburg, fuoriuscì una nube di gas radioattivo dal reattore centrale dell'impianto di Three Mile Island. Nessuna esplosione, bensì una bolla di ossigeno che aveva occluso il sistema di raffreddamento, provocando il blocco e un allarme generale per il rischio di una liquefazione del materiale radioattivo, con la conseguente dispersione in un raggio di circa 15 chilometri. Gli abitanti rimasero chiusi in casa, con porte e finestre sbarrate, donne in stato di gravidanza e bambini furono allontanati. Dopo pochi giorni, risolto il problema, sciolta la bolla, tutti di nuovo a casa, senza preoccupazioni e senza allarmismi, informati di ogni dettaglio della vicenda in cui, forse, fu attuato un un eccesso di cautela.
Per il Giappone le date sono tre: 6 agosto 1945 con la bomba nucleare su Hiroshima, la più potente con 200 mila vittime e il 75 per cento degli edifici distrutti, seguita dopo tre giorni da quella su Nagasaki con 40 mila morti, 40 mila feriti e un terzo degli edifici distrutti. Ordigni micidiali di cui si conosceva in teoria la potenzialità distruttiva, ma la prima del genere nella storia dell'umanità e temuta dagli stessi piloti degli aerei che li trasportavano al punto da dare loro i nomignoli scaramantici di «little boy» e «fat man»: secondo una ricerca delle stesse autorità americane, il 60 per cento delle vittime morì per l'esplosione, il 20 per cento per le ustioni provocate dalla diffusione nell'aria del materiale contaminato, e il 10 per cento per il contagio radioattivo.
Sono numeri che il popolo giapponese ancora ricorda e ai quali ora aggiunge la terza data che lo riguarda, 11 marzo 2011 e il nome di Fukushima: è ancora da chiarire in tutti gli aspetti quello che è avvenuto quando un terremoto tettonico calcolato di magnitudo 8,5, il massimo della scala elaborata dal sismologo americano Charles Francis Richter per valutare l'intensità dei terremoti in base alla energia distributiva. Un terremoto seguito da un maremoto di pari capacità di devastazione.
Per l'Italia, Paese disposto ai sensazionalismi e agli allarmi evitando gli approfondimenti del tema, indubbiamente delicato e complesso sotto tutti gli aspetti da quelli tecnologici e sanitari a quelli energetici ed economici, la data è 8 novembre 1987. Nessuna esplosione, nessun maremoto ma una quantità di schede per un complesso referendum, circa l'80 per cento, con un «no deciso» per la localizzazione di centrali nucleari, per i contributi da erogare agli enti locali che avrebbero accolto le centrali nucleari e per la partecipazione dell'Enel a progetti di impianti nucleari da realizzare all'estero.
Tre quesiti poco chiari ma che la martellante campagna sull'eco ancora viva sull'incidente di Chernobyl dell'anno precedente produsse il risultato di far demolire gli impianti di Trino Vercellese, Caorso, Latina, Garigliano e Montalto di Castro, che ponevano l'Italia tra i principali Paesi sotto l'aspetto scientifico, tecnico e tecnologico in campo termonucleare. Un primato internazionale cancellato con un danno economico che un calcolo forse impreciso stimò in oltre 100 miliardi di euro, oltre alla perdita di capacità competitiva di molte imprese ancora oggi limitate da una bolletta energetica più alta di quelle dei Paesi nuclearizzati, e dai quali importiamo energia elettrica prodotta con il nucleare. Senza calcolare la perdita di un patrimonio rappresentato dalle alte competenze tecniche e scientifiche del settore, oltre al costo dello smantellamento delle centrali già realizzate.
Oggi il ruolo che poteva essere nostro è svolto dalla Francia con 58 impianti nucleari, di cui nostri fornitori sono quelli che distano poche centinaia di chilometri dal confine. Questo in un mondo in cui sono attivi 442 reattori in 29 Paesi, tra i quali Pakistan, Bulgaria e Romania, 21 in Corea del Sud, 20 in India e in Ucraina, 19 in Cina, 17 in Germania, 5 in Svizzera, 10 in Svezia, 4 in Finlandia. Negli Stati Uniti il presidente Barack Obama ha chiesto che venga effettuata un'attenta e completa revisione dei 104 reattori esistenti nei vari Stati americani. L'Unione Europea pensa di sottoporre a «stress test» le sue 197 centrali, 12 delle quali sono a ridosso del confine italiano e a poco più di 200 chilometri in linea d'aria da Milano e Torino. E così ormai in quasi tutti i Paesi nucleari, specialmente se hanno le centrali più vecchie.
Di nucleare ormai si parlerà a lungo specialmente per il continuo aumento della domanda mondiale di energia che, secondo il World Energy Outlook 2010, nei prossimi 25 anni aumenterà del 36 per cento. La quota dell'atomo, che attualmente copre il 35 per cento dei consumi in Europa, il 20 negli Usa e almeno finora il 30 in Giappone, passerà a livello globale dal 6 di oggi all'8 per cento per una serie di cause: crescita dei Paesi emergenti, Cina ed India soprattutto, e di larghe aree dell'Africa e soprattutto riduzione delle scorte di petrolio. Nel tempo, non saranno le dolorose immagini di questi giorni degli sfollati giapponesi a frenare la produzione di energia nucleare, né le pressioni di qualche lobby riuscirebbero ad aumentarla: basterà solo la richiesta di energia elettrica avanzata dall'evoluzione degli stili di vita, che richiedono produttività, comodità, voglia di benessere.
L'ingegnere Roberto Adinolfi è amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, una società di Ansaldo Energia tra i principali costruttori di componenti per centrali elettriche comprese quelle nucleari. In questa intervista fa il punto sulla situazione.
Domanda. Cittadini, giornali, tv, politici, non nascondono la preoccupazione, e non solo in Italia. Lei è uno dei maggiori esperti del settore; ritiene che, come è accaduto nel 1987, nel giugno prossimo il nuovo referendum proposto da Italia dei Valori ripeta il «no» al nucleare?
Risposta. Tralascio le previsioni, ma posso dire che non è il momento migliore per tornare a votare su questo argomento che suscita preoccupazioni, e per chiedere ai cittadini di esprimere un parere senza aver capito quali sono i rischi reali del nucleare e i vantaggi che potrebbero derivarne. Credo che poche persone siano in grado di esprimersi con la piena consapevolezza di un'approvazione o di un rifiuto. Non intendo dire che la decisione di sviluppare l'energia nucleare non debba essere sostenuta dai cittadini, ma proprio il contrario. È una scelta, e noi dell'Ansaldo abbiamo sempre affermato che non può che derivare dal consenso dei cittadini. Però è necessario creare le condizioni che consentano alla gente di farsi delle opinioni il più possibile realmente informate.
D. Più razionalità e informazione e meno emotività?
R. Certamente. Credo che l'Italia in questo momento non abbia nessuna scelta urgente da fare. Non abbiamo impianti nucleari, quindi la soluzione migliore sarebbe quella di capire bene cosa è successo in Giappone, cosa vuol dire quanto è accaduto rispetto ai programmi ventilati per l'Italia. Per esempio, occorrerebbe confrontare seriamente i reattori che dovrebbero realizzarsi in Italia con quelli che hanno subito il maremoto in Giappone e le condizioni di rischio sismico esistenti in Italia con quelle di quel Paese, e conoscere quanto è realmente successo l'11 marzo. Questo per valutare i pro e i contro e arrivare a scelte consapevoli e ragionate.
D. Si può essere in grado di valutare i pro e i contro?
R. La prima cosa che va detta è che non si può parlare che di energia nucleare sicura, perché un investimento come quello richiesto dalla costruzione di un simile impianto si giustifica soltanto se c'è ogni certezza che possa essere sfruttato in piena sicurezza per tutta la sua vita. Da questo presupposto derivano alcune considerazioni. Prima fra tutte, capire quali sono i costi dell'energia nucleare sicura, cosa significa in termini economici realizzare impianti per produrre energia nucleare sicura, e se questo costo regge il confronto con le altre fonti di produzione; insomma vantaggi e svantaggi che l'energia nucleare può dare al Paese e a ciascuno di noi come costo della bolletta elettrica. Un vantaggio consiste anzitutto nella sicurezza degli approvvigionamenti energetici, dal momento che l'Italia oggi dipende per più dell'80 per cento dagli idrocarburi mentre il nucleare sembra oggi l'unica forma idonea a garantire, sia per i quantitativi sia per i prezzi, significativi volumi non dipendenti da petrolio o gas. Altro vantaggio: dimostrata la piena sicurezza, l'impatto ambientale del nucleare è limitato, considerato che non c'è produzione di CO2. Ultimo vantaggio: si spenderebbe buona parte della bolletta energetica nel Paese, dal momento che il 65 per cento del costo del chilowattore finale dipende dall'impianto che può essere realizzato in larga misura con investimenti compiuti in Italia, mentre il 65 o il 70 per cento del prezzo del chilowattore prodotto da una centrale a gas o a olio combustibile va speso all'estero.
D. Qual è il costo medio di una centrale nucleare e quali sono le caratteristiche di un impianto per la produzione di energia nucleare sicura?
R. Quello di una centrale di nuova generazione viene generalmente stimato in 4 mila o 4.500 dollari per megawatt installato; quindi dai 4 ai 4 miliardi e mezzo di euro a impianto. Una cifra notevolmente dipendente dal progetto specifico, dalla località in cui viene realizzato l'impianto e da una serie di variabili possibili. Dopo gli incidenti di Three Mile Island e di Chernobyl il problema della sicurezza si pose in modo pressante. Considerato il valore di un impianto nucleare, nessuno ha interesse a gestirli se presentano scarsa sicurezza. Si è deciso, pertanto, di introdurre negli impianti esistenti, di seconda generazione, ulteriori misure di sicurezza, e di avviare la progettazione di reattori di terza generazione, capaci di resistere ad eventi estremi come quelli verificatisi in Giappone. Gli impianti di terza generazione che oggi si installano sono già in grado di fronteggiare incidenti riguardanti il nocciolo, senza mettere a repentaglio il contenitore e senza rilasciare all'esterno la radioattività sprigionata in caso di un serio incidente.
D. Le fonti alternative normalmente proposte in luogo del nucleare possono sostituire quest'ultimo nei quantitativi di energia prodotti e nei costi?
R. Da tecnico debbo dire che la denominazione di fonti alternative usata normalmente non è del tutto corretta. Le fonti rinnovabili hanno moltissimi pregi e possono dare un significativo contributo, ma hanno caratteristiche tecniche completamente diverse da quelle nucleari impiegate per produrre elettricità di base, che viene consumata dai grandi utenti della rete come le industrie. Le fonti rinnovabili per loro natura non possono assicurare un funzionamento continuo e costante e rispondono a un'altra fascia di domanda elettrica, quella dei carichi variabili, non di base. Non si può far fronte a un carico di base di un Paese alimentato solo da fonti rinnovabili, mentre è possibile sfruttare anche le fonti rinnovabili per limitare il rilascio di anidride carbonica nell'atmosfera, come avviene per le centrali nucleari. Le fonti rinnovabili, a mio parere, sono alternative a centrali alimentate da combustibili fossili, non al nucleare, ma i quantitativi che possono ottenersi da esse sono purtroppo limitati perché, anche incentivandone in modo significativo la produzione, determinano un impatto notevole sul territorio. Qualora si volesse installare un impianto capace di generare in modo continuativo i mille megawatt di una centrale nucleare, ad esempio, sarebbe molto elevata la quantità di aree da destinare a campi eolici o fotovoltaici.
D. I pannelli fotovoltaici presentano problemi di durata e di smaltimento?
R. Tutte le fonti di energia producono scorie. Come è necessario smantellare le vecchie centrali nucleari, anche per i pannelli solari si pone il problema di cosa farne, una volta conclusa la loro vita; i materiali con cui vengono realizzati hanno una loro pericolosità, sono tossici. Nelle centrali nucleari è relativamente facile verificare la presenza di radioattività nell'ambiente. Dopo Chernobyl, tutti i Paesi si sono organizzati in materia. L'Italia si è dotata di una rete di monitoraggio ambientale particolarmente capillare. Le oscillazioni rese note dalla stampa sono legate a picchi di radioattività che possono crearsi per l'evolversi delle situazioni interne. Per il rischio ambientale quello che conta veramente è la dose accumulata, non quella istantanea. In natura esistono elementi radioattivi che fanno parte dell'ambiente, sono presenti anche nel corpo umano e costituiscono la cosiddetta «radioattività naturale».
D. Perché quando accadono sciagure gravi, per esempio nelle miniere di carbone o nei pozzi petroliferi, si parla di fatalità e non di abolire miniere o pozzi, mentre per il nucleare si annunciano referendum per abolirlo?
R. I motivi sono molti. Uno è legato all'immagine estremamente negativa connessa con la nascita dell'energia nucleare. Non si dimentica che la sua prima applicazione fu una bomba atomica che provocò la morte di 200 mila persone e forse di più, e si ritiene che radiazioni significa pericolo mortale. In realtà siamo continuamente esposti ad esse, in strada per i raggi cosmici, nella sanità per le radiografie ecc. Ma non è la loro esistenza che può produrre danni alla salute, bensì il quantitativo cui ci si espone. Inoltre si ha più timore di ciò che può avvenire che di quanto è avvenuto. In questo caso in Giappone si sono registrati oltre 10 mila morti, ma neppure uno finora è dovuto a incidenti nucleari. Non conosciamo ancora il bilancio finale, ma viviamo in una situazione di angoscia anche irrazionale, sulla quale influisce la disinformazione.

back