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RIFORMA BRUNETTA

LA PERFORMANCE
DEI PUBBLICI DIPENDENTI

di ANGELO GARGANI
presidente dell'Organismo
Indipendente di Valutazione



La Riforma Brunetta
ha portato alla ribalta
la «performance»,
ossia la produttività,
il rendimento, la qualità
del lavoro che i pubblici
dipendenti devono assicurare
con il massimo sforzo
per ottenere risultati migliori,
capaci di soddisfare
i bisogni per i quali
la loro Amministrazione è costituita

ell'ambito della riforma della Pubblica Amministrazione contenuta nella legge delega n. 15 del 2009 meglio conosciuta come Riforma Brunetta, e nel conseguente decreto n. 150 dello stesso anno, particolare evidenza è stata data al termine «performance», di derivazione inglese, che significa esecuzione, rendimento, produttività, e indica la qualità di un'attività che deve essere attuata con il massimo sforzo per ottenere il miglior risultato. È un contributo che un soggetto apporta, attraverso la propria azione, al raggiungimento degli obiettivi e, in ultima analisi, alla soddisfazione dei bisogni per i quali l'organizzazione è stata costituita. È proprio la «performance» che realizza concretamente il passaggio dalla logica dei mezzi a quella dei risultati. Il nuovo termine comporterà conseguenze significative.
Appare superato infatti il concetto di prestazione previsto dallo statuto degli impiegati civili dello Stato, in base al quale l'impiegato deve prestare tutta la propria opera con diligenza e nel migliore dei modi, concretizzando quindi quel dovere medio di diligenza sempre individuato con quello del buon padre di famiglia. Il nuovo parametro della performance richiede una diligenza attenta, solerte, tesa al massimo risultato. Anche il codice di comportamento del dipendente delle Pubbliche Amministrazioni risulta alquanto superato poiché, rispetto a un'ipotizzata attività corretta e imparziale, all'impiegato si chiede qualcosa in più. Le sanzioni disciplinari per le eventuali mancanze possono essere irrogate con maggiore severità; la responsabilità del dipendente, che era circoscritta alla colpa grave, rischia di essere ampliata facendo rientrare in essa fatti prima non considerati gravi.
La riforma introduce due tipi di performance. A quella individuale, che era già prevista, si aggiunge quella organizzativa. Fatto totalmente nuovo e che avrà notevoli ripercussioni. Entrambe sono finalizzate ad assicurare elevati standard qualitativi ed economici dell'intero procedimento di produzione del servizio reso all'utente tramite la valorizzazione dei risultati e della performance organizzativa e individuale. Conseguentemente la valutazione dovrà essere fatta rispetto non solo alla performance individuale, ma anche a quella organizzativa.
Il nodo fondamentale è la misurazione della performance individuale cui deve essere ancorata la quota prevalente del salario accessorio. Non è semplice, però, garantire ai risultati individuali criteri di misurazione oggettivi per la valutazione della performance dell'intero ufficio. Per misurare quest'ultimo tipo di performance occorre valutare come l'ente, attraverso l'azione amministrativa, risponda alle esigenze dei cittadini e il grado di soddisfazione di questi.
In definitiva la performance individuale viene misurata in rapporto al contributo che il dipendente ha dato per il raggiungimento della performance organizzativa. Il risultato «collettivo» pesa anche sulla performance individuale, perché non si può ipotizzare il caso di un ufficio con risultati complessivi pessimi e pagelle individuali ottime o viceversa. La valutazione della performance individuale sarà compiuta su tutti i dipendenti in qualsiasi livello con i criteri previsti dalla legge. Quella organizzativa porterà alla formulazione, da parte della Commissione per la valutazione, di una graduatoria che determinerà la modulazione di fondi e stanziamenti in base agli obiettivi raggiunti.
È previsto quindi un sistema di misurazione e valutazione da compiere con il ciclo di gestione della performance che si snoda attraverso la definizione degli obiettivi, del collegamento tra obiettivi e risorse, del monitoraggio nel corso di esercizio, dell'attivazione di eventuali interventi correttivi, dell'impiego dei sistemi premianti secondo criteri di valorizzazione del merito, e infine della rendicontazione dei risultati attraverso la trasparenza.
Particolarmente significativa è l'accentuazione della selettività nell'attribuzione di incentivi economici e di carriera, in modo da premiare capaci e meritevoli, incoraggiare l'impegno sul lavoro e scoraggiare comportamenti di segno opposto. Altro aspetto rilevante, di carattere operativo, è la correlazione tra gli obiettivi e la quantità e qualità delle risorse disponibili: una visione realistica che responsabilizza tutti gli operatori ad ogni livello e che indirizza la gestione e la destinazione dei vari mezzi e risorse economiche disponibili in funzione della designazione degli obiettivi da realizzare. È inutile programmare obiettivi se mancano i mezzi necessari per realizzarli. D'altra parte l'esperienza insegna che vi sono obiettivi la cui realizzazione è impossibile se non vengono modificate alcune norme che ne ostacolano la fattibilità. Una visione realistica che deve orientare in modo razionale le previsioni di bilancio in funzione degli obiettivi.
Chi deve attuare tutte queste attività? La riforma disegna quattro soggetti, uno esterno e tre interni per ogni Amministrazione. Quello esterno - cioè la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle Amministrazioni pubbliche -, è un organismo del tutto nuovo. C'è chi l'identifica in una sorta di Autorità ma l'accostamento, secondo alcuni, non appare del tutto corretto. La relazione illustrativa del decreto Brunetta la definisce accompagnatrice e catalizzatrice della riforma fornendo, in fase discendente, il know-how necessario attraverso linee-guida e requisiti minimi, e garantendo, in fase ascendente, la qualità delle risorse umane, un livello di trasparenza elevato e una comparabilità delle performance, o indicatori di andamento gestionale.
La sua collocazione è prevista in una posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione in piena autonomia in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito di coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei relativi sistemi, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di andamento gestionale informando annualmente il ministro per l'Attuazione del programma sulle attività svolte. È il motore di tutta la riforma.
I tre organismi interni ad ogni Amministrazione, pur preesistenti alla riforma, sono delineati in maniera del tutto nuova: diversa e con la particolarità che per essi è prevista una stretta sinergia, una continuità di rapporti per soddisfare un'esigenza più volte avvertita, spesso desumibile dal fatto che all'interno dell'Amministrazione non sempre la mano sinistra conosce quello che fa la mano destra. Di primaria importanza è l'organo politico amministrativo, l'attore principale cui vengono attribuiti i seguenti obblighi: emanazione delle direttive generali, contenenti gli indirizzi strategici; definizione del piano e della relazione di performance; controllo strategico; definizione del piano triennale per la trasparenza; valutazione dei vertici. Senza entrare nel merito, tali incombenze devono essere programmate e realizzate con la collaborazione di organi interni ed esterni all'Amministrazione.
Il secondo attore interno all'Amministrazione è l'Organo indipendente di valutazione che, pur rappresentando la continuità dell'Ufficio Servizio di Controllo Interno abolito con la riforma, subisce profonde trasformazioni, con un largo ampliamento delle originarie competenze di quest'ultimo. Non viene costituito, però, un organo completamente diverso. Le due macro attività, che erano specifiche competenze dell'Ufficio Secin, continueranno ad essere attribuzioni dell'Organo indipendente di valutazione. La prima è il controllo strategico. Non solo infatti il comma 1° dell'articolo 6 del decreto legislativo 286 del 1999 è rimasto invariato - risultano abrogati i due successivi commi -, ma il comma 2° dell'articolo 14 del decreto in oggetto stabilisce che l'Organo indipendente esercita le attività di controllo strategico di cui al citato art. 6, comma 1, e riferisce in proposito direttamente all'organo di indirizzo politico amministrativo.
La seconda macro attività dell'Organo indipendente risulta molto più complessa rispetto a quella che faceva capo al Secin. Si tralascia di elencare tutte le incombenze previste dall'articolo 14. Preme solo sottolineare che, per attuare il principio della valorizzazione del merito e dell'incentivazione della produttività, nonché della qualità delle prestazioni lavorative attraverso metodi selettivi e concorsuali, evitando quindi di distribuire gli incentivi in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi, è stato introdotto il criterio della valutazione individuale di tutto il personale, compresi i dirigenti.
Costoro valutano il personale nell'ambito del proprio settore e a loro volta sono valutati dai titolari degli uffici dirigenziali generali. La valutazione di questi ultimi compete ai capi dipartimento o ai segretari generali dei Ministeri; per tale figura di vertice, infine, l'operazione è svolta dall'organo di indirizzo politico amministrativo, su proposta dell'Organismo indipendente di valutazione. Al di fuori di quest'ultima previsione l'Organismo indipendente di valutazione non è titolare diretto della funzione valutativa, ma è responsabile soltanto del controllo sul corretto esercizio di questa sul piano formale e sostanziale, del monitoraggio, della vigilanza, al fine di rimuovere elementi di criticità e promuovere il miglioramento del sistema.
Il terzo organismo interno è la dirigenza. Il decreto compie un ulteriore passo in avanti nel processo di privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. Esso prevede la costituzione di un dirigente come rappresentante del datore di lavoro e quindi titolare di poteri che lo fanno responsabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità del prodotto della Pubblica Amministrazione, con la chiara indicazione in risposta allo specifico principio di delega, di quali materie rientrano nell'ambito della contrattazione. A tale finalità, del resto, risponde il principio dell'inderogabilità della legge da parte della contrattazione a meno di specifiche indicazioni, posto dal legislatore con la legge delega n. 15 a tutela dell'autonomia della responsabilità dirigenziale nei confronti della invadenza della contrattazione, evidente nella pratica degli anni recenti. Le nuove disposizioni fondano un forte legame tra contrattazione decentrata, valutazione e premialità; in particolare viene rafforzato, in coerenza con il settore privato, il condizionamento della contrattazione decentrata e quindi della retribuzione accessoria all'effettivo conseguimento dei risultati programmati e ai risparmi di gestione.
Il coinvolgimento del dirigente, nella fase di individuazione degli obiettivi e delle risorse dell'azione amministrativa, rappresenta indubbiamente un fatto del tutto nuovo. La modifica della disciplina della dirigenza pubblica, usando anche i criteri di gestione e valutazione del settore privato al fine di realizzare adeguati livelli di produttività del lavoro pubblico e di favorire il riconoscimento di meriti e demeriti, contribuisce al rafforzamento della sinergia di cui si parlava, soprattutto con riferimento all'Organismo indipendente di valutazione, che necessariamente dovrà avere più stretti contatti e rapporti con le varie strutture dirigenziali.
I vari strumenti giuridici posti in essere dalla riforma Brunetta, dopo aver svolto una intensa attività di rodaggio, hanno consentito il decollo della riforma stessa. Spesso in passato si è usato il sistema di far seguire, a leggi di portata così estesa come questa, un regolamento di esecuzione per chiarire in via preventiva i vari problemi. Questa volta non lo si è fatto e, pertanto, maggiori responsabilità gravano sugli Organismi come quello presieduto dal sottoscritto.
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