back

IN VOLO


VITO RIGGIO:
L’ENAC
PROTAGONISTA EFFICIENTE
NEL CIELO UNICO EUROPEO

A CURA DI ROMINA CIUFFA

Vito Riggio,
presidente dell’Ente
Nazionale per l’Aviazione civile


Tra gli attori principali
di un sistema, quello
aeroportuale, di estrema importanza per il Paese, l’Enac subisce i disagi causati da normative
inadeguate: per il blocco
delle assunzioni pubbliche
non può assumere
il personale necessario malgrado ne sia carente
né svolgere formazione, essendo utopia pensare di pianificare l’entrata di giovani da formare; ed è costretto ad assistere al calo di efficienza causato dal municipalismo delle strutture aeroportuali
che operano in un’ottica
soltanto clientelare


ari aspetti del settore aereo rientrano nel mandato istituzionale dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, che ha il compito di garantire la qualità dei servizi e la sicurezza del trasporto aereo e tutelare i diritti dei passeggeri. Per cui, in base alle indicazioni dell’Unione Europea, ha redatto la Carta dei Diritti del Passeggero e la Carta dei Servizi standard degli aeroporti. Altrettanta importanza l’Enac dedica al rispetto e alla tutela dell’ambiente e del territorio, con valutazioni sull’impatto ambientale e sull’inquinamento acustico e atmosferico prodotto dagli aerei. L’ente rappresenta l’Italia nelle maggiori organizzazioni internazionali dell’aviazione civile, con i quali intrattiene rapporti di confronto e di collaborazione; ha la propria sede a Roma e dispone di una propria rete territoriale dislocata in ogni scalo italiano: le Direzioni aeroportuali. Il presidente Vito Riggio descrive i problemi relativi alle infrastrutture, alla definizione di un piano strategico per lo sviluppo del Paese, al periodo successivo al collasso dell’Alitalia con l’entrata delle nuove compagnie «low cost». Ma soprattutto ai timori di perdere le opportunità di essere protagonisti nel Cielo Unico Europeo.

Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, si occupa dei molteplici aspetti della regolazione dell’aviazione civile, del controllo e della vigilanza sull’applicazione delle norme adottate, della disciplina degli aspetti amministrativi ed economici del sistema del trasporto aereo. Tra i propri obiettivi ha, in particolare, quello di garantire la qualità dei servizi resi all’utente e la sicurezza del trasporto aereo e di tutelare i diritti dei passeggeri. È, quindi, uno degli attori principali di un sistema che, a detta della Commissione Trasporti della Camera, ha molte luci ed altrettante ombre. Ne parla il suo stesso presidente, il prof. Vito Riggio, ex docente universitario, già deputato al Parlamento nella X e XI Legislatura, componente delle Commissioni Affari costituzionali, Bilancio, Antimafia e Questioni regionali, e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alla Protezione Civile e ai Servizi tecnici nazionali nel Governo Ciampi. Per lunghi anni consigliere del Cnel, nel 2001 è stato nominato presidente del Servizio di Controllo interno del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, successivamente, presidente della Commissione di studio per la Riforma dell’Aviazione civile; nel 2003 commissario straordinario prima, presidente dell’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile poi, carica confermata nel settembre 2007.

Domanda. La Commissione Trasporti della Camera ha svolto un’indagine conoscitiva sul sistema aeroportuale italiano e ne ha messo in luce gli aspetti positivi ma anche le difficoltà derivanti dalla sua sottodimensionata capacità di accoglienza. Condivide le analisi della Commissione?
Risposta. I problemi evidenziati dalla relazione della Commissione sono anche, e forse soprattutto, il prodotto di un’indagine conoscitiva che noi stessi abbiamo realizzato su richiesta del Governo. Conosciamo perfettamente le difficoltà che caratterizzano il sistema del trasporto aereo. Nell’esporre le criticità e le peculiarità del sistema italiano dinanzi alla Commissione, abbiamo richiesto al legislatore e al Governo un atto di indirizzo per rispondere alle attese del mercato, ormai da considerarsi unico a livello europeo e nazionale. Lo Stato sostiene i costi per fornire, ai circa 40 aeroporti italiani aperti al traffico commerciale, i servizi di assistenza al volo attraverso l’Enav, nonché quelli antincendio attraverso i Vigili del Fuoco. Di questa quarantina di scali commerciali una metà ha ragione di essere in termini economici e di servizio, gli altri rispondono più a una esigenza di servizi di tipo locale. Vi è, quindi, un nodo legislativo da risolvere.

D. In che modo distinguere le responsabilità locali da quelle nazionali in merito al finanziamento?
R. Ad oggi lo Stato si fa carico degli oneri relativi ai servizi dell’Enav: bisogna decidere se è questa ancora la via da seguire, anche laddove l’infrastruttura non rientri in un piano strategico di sviluppo del Paese, o se invece non sia necessario compiere una scelta più radicale, lasciando agli Enti locali gli oneri relativi al funzionamento dell’aeroporto, oggi a carico della finanza pubblica. Questi aeroporti potrebbero successivamente rientrare tra le priorità dello Stato, nel caso in cui il settore dovesse prevedere un ulteriore sviluppo; a quel punto, sarebbe corretto fare affidamento su infrastrutture già esistenti nel territorio, piuttosto che crearne di nuove.

D. A chi spetta la valutazione sulla rilevanza territoriale di un’infrastruttura aeroportuale ai fini dell’ottenimento dei fondi pubblici?
R. Dovranno comunque essere gli enti locali a valutare se gli oneri derivanti dai costi del proprio funzionamento - attualmente a carico dello Stato - siano compatibili con le necessità che il territorio di competenza esprime. Bisogna però tenere presente che questa scelta è ben diversa da quella che il legislatore negli anni ha perseguito favorendo il municipalismo. Personalmente, sarei per una scelta radicale, cioè decidere di non intervenire a sostegno degli interessi locali ma concentrarsi su quelli statali; è una scelta che compete al Parlamento.

D. L’Italia ha un volume annuale di circa 130 milioni di passeggeri, le prospettive per il prossimo decennio indicano un incremento fino a oltre 240 milioni: in che modo è possibile sviluppare il sistema a tali livelli?
R. In realtà, abbiamo già un potenziale di 200 milioni di passeggeri l’anno, invece dei circa 130 che registriamo ora. Questo risultato, decisamente inferiore alle potenzialità, dipende in gran parte dall’assai carente infrastruttura intermodale. I nostri aeroporti sono mal collegati e non competitivi con le altre realtà del trasporto esistenti. Ciò si deve anche al regime di monopolio in cui ha operato il settore in questi anni, creando un livello tariffario dei voli aerei fuori concorrenza e in parte influendo sulla stessa crisi della nostra compagnia di bandiera. Una nuova base di sviluppo è costituita dalle compagnie «low cost», che stanno sottraendo alcune fette di mercato alla nuova Alitalia. Quest’ultima deve ridurre le tariffe per essere realmente competitiva: nel sistema complessivo non solo nazionale ma internazionale, le compagnie low cost sono destinate essenzialmente al trasporto nel breve e medio raggio, le grandi compagnie invece maggiormente alla gestione dei voli intercontinentali, in una sinergia che trova il proprio equilibrio nello stesso mercato.

D. La scelta del doppio scalo Fiumicino e Malpensa e l’ipotesi che la compagnia di bandiera, allora in attivo, potesse gestire entrambe le strutture nel tentativo di recuperare 2 milioni di passeggeri business, secondo alcuni è stato il motivo del collasso dell’Alitalia e della successiva parcellizzazione del sistema: è d’accordo con quest’analisi?
R. Pur non essendo stata l’unica causa della sua crisi, è chiaro che la scelta dell’Alitalia per il doppio hub Malpensa e Fiumicino si è rivelata una follia: 4 miliardi di euro per un aeroporto che non aveva i numeri per compensare l’investimento. In questa logica l’Alitalia si è autodistrutta, per scelta propria o indotta ormai poco importa. Quel che è certo è che una decisione di quel tipo, per una compagnia che non aveva la possibilità di investire per divenire proprietaria di vettori, è stata suicida. Una sola grande compagnia aerea in Europa può permettersi due scali, la tedesca Lufthansa, ma la compagnia di bandiera della Germania ha in proprietà ben 400 vettori.

D. Come vede il «post-Alitalia»?
R. Con la fine del monopolio della nostra compagnia di bandiera, il mercato del trasporto italiano si è aperto, divenendo terreno fertile per molte altre compagnie, le low cost per prime. Attualmente il mercato si compone per il 50 per cento di una quota Alitalia, per il 20 per cento di una quota Meridiana, per il restante, ma affatto residuale, 30 per cento delle quote delle due compagnie inglesi Ryan Air ed Easy Jet, più società minori ma dinamiche, come Blu Panorama e Wind Jet. Da alcune località del Sud d’Italia il volo low cost per il Nord rappresenta la scelta primaria nel traffico passeggeri, tanto che verrebbe da dire che sarebbe più utile investire nelle infrastrutture intermodali piuttosto che in dispendiose alte velocità ferroviarie.

D. A breve avremo il Cielo Unico Europeo e la Commissione avverte: o mettiamo mano da subito alle carenze infrastrutturali e di servizi, o il rischio è di rimanere nelle retrovie del sistema, in preda alle grandi compagnie europee. È così?
R. Il Cielo Unico Europeo offre comunque una grande opportunità tecnologica. La vera sfida sarà a terra, nella nostra capacità di gestire il volume di traffico che questa opportunità potrebbe creare. Dobbiamo cominciare a ragionare in termini di volume europeo. Non possiamo reggere un confronto su tale scala se la visione con cui si guarda al futuro del trasporto aereo è prettamente nazionale. Per esempio, dobbiamo avere ben chiaro che la Cai potrà operare solo se proseguirà la strada già intrapresa, divenendo parte integrante di una delle poche compagnie europee attrezzate per tale sfida. Gli amministratori della Nuova Alitalia hanno scelto l’Air France, mi sembrerebbe normale che proseguano su questa strada.

D. Quanto detto sinora riguarda il vettore. Il risultato dell’indagine sugli aeroporti a sua volta non è esattamente lusinghiero e i servizi sembrano insufficienti. Da che cosa dipende?
R. In parte è vero, ma il primo problema deriva da un’errata scelta di fondo: l’aver affidato la gestione di infrastrutture così importanti a Comuni, Regioni e Camere di Commercio, realtà avulse dalle necessità implicite di un settore così strategico. Per tale motivo molte società di gestione aeroportuale si sono in gran parte rivelate inadeguate al compito che è stato affidato loro. L’unica grande privatizzazione che è stata fatta è quella dell’aeroporto di Fiumicino, ma è stata una privatizzazione a debito, nella quale il settore privato ha riversato su quello pubblico gli oneri che un sistema bloccato gli ha imposto. E ciò è reso tanto più inevitabile se si considera il blocco delle tariffe, che per i sistemi aeroportuali sono ferme da sette anni.

D. La Commissione ha rilevato un sottodimensionamento del personale, in particolare di quello qualificato, dell’Enac, e ha sottolineato come manchi l’espletamento di una funzione di garanzia di cui il suo Ente dovrebbe prendersi carico in quanto mandatario della tutela degli interessi del Governo e dello Stato in generale. In che modo supplite alla carenza di personale?
R. L’Enac è un ente senza fini di lucro che svolge bene i compiti tradizionali, ma già qui si crea un problema: per formare un nostro ispettore si richiedono tempo e investimenti, mentre siamo nella curiosa situazione, causata dal blocco delle assunzioni negli Enti pubblici, di non poter sostituire gli ispettori o il personale che va in pensione, né aumentarne il numero. Diventa quindi pura utopia pensare di poter pianificare l’entrata di giovani da formare, per svolgere quel compito professionale che all’Enac spetta. Risparmiamo ogni anno 15 milioni di euro e vorremmo poterli investire nelle risorse umane e nella formazione, ma le norme esistenti lo impediscono.

D. Alle inefficienze del sistema aeroportuale, individuate nella mancanza di coordinamento, sembra poter porre rimedio il coordinatore unico, figura professionale di collegamento tra i diversi operatori aeroportuali e funzionante negli Stati Uniti. Crede in questa figura?
R. Si tratta di una soluzione tampone che non risolve il problema. Il limite dei nostri aeroporti è legato al municipalismo a cui sono affidati, mosso da esigenze clientelari e non professionali. Le grandi compagnie gestiscono in proprio il coordinamento delle attività tra esse e le autorità aeroportuali. La figura del coordinatore unico è un palliativo: il vero nodo da sciogliere è il livello professionale e di efficienza delle società di gestione aeroportuale, affinché non siano lasciate in mano a interessi localistici ma siano spinte a divenire efficienti aziende private, capaci di creare utili e non generare sprechi di cui i cittadini dovranno poi farsi carico.
(con la collaborazione di Francesco Rea)

back