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GIOVANNI MONCHIERO:
PER LA SANITÀ SERVE
UN FINANZIAMENTO
A PROVA DI EFFICIENZA

di Paolo Russo

Giovanni Monchiero


«Il deficit è il prodotto
di uno storico
sottofinanziamento
del sistema; la gestione
di Asl e ospedali
in questi anni non è stata
poi un tale colabrodo,
il trend di spesa è calato
nonostante i bisogni
crescenti e i costi delle
tecnologie. Merito anche
di Regioni che hanno
controllato i conti
e migliorato i servizi»


a diagnosi del presidente della Fiaso, che rappresenta oltre il 60 per cento delle Aziende sanitarie e ospedaliere. I conti rivelano che è fortemente rallentato l’incremento finale della spesa sanitaria delle ASL e degli ospedali, calato dal 10,79 del 2004 al 2,81 del 2009 - Solo alcune Regioni hanno la responsabilità del deficit.

I 5 miliardi di disavanzo sanitario per il 2009? «Basta saper leggere bene dietro le cifre per scoprire che in realtà siamo di fronte a un forte rallentamento del trend di crescita della spesa e comprendere che il deficit è il prodotto di uno storico sottofinanziamento del sistema». E per tradurre in fatti gli slogan della campagna elettorale di allontanare la politica dalla sanità e ridurre gli sprechi nei servizi»? «Cominciamo col rendere più trasparenti i criteri di nomina e di valutazione dei manager sanitari, e adottiamo un sistema di finanziamento che premi l'efficienza gestionale anziché adeguarsi e pagare per quel che si spende storicamente».
Su come mettere le gambe alle parole d'ordine bipartisan dei partiti ha le idee chiare Giovanni Monchiero, piemontese doc, una vita spesa ad amministrare Asl e ospedali, tra cui il «Molinette» di Torino, e da quasi un anno presidente della Fiaso, la Federazione che rappresenta oltre il 60 per cento delle Aziende sanitarie e ospedaliere d'Italia. Un’associazione che con i problemi della sanità si confronta quotidianamente sul campo, e che proprio per questo sarebbe bene che la politica ne ascoltasse riflessioni e suggerimenti.

Domanda. La campagna elettorale per le elezioni regionali è ormai al rush finale e, come sempre, la sanità tiene banco. Però, mentre si discute su come migliorare il servizio riducendo i costi, la spesa continua a lievitare. E la Legge finanziaria 2010 parla chiaro: se le Regioni vanno in rosso, scatta il commissariamento e il management di Asl e ospedali va a casa. Temete un pre-pensionamento?
Risposta. Bisogna andare a vedere chi non sta dentro i tetti di spesa e chi quei tetti li rispetta, pur offrendo un servizio di qualità incontestabile. Sui conti sarà bene prima di tutto fare un po’ di chiarezza. Le ultime stime governative per la sanità parlano di un disavanzo nel 2009 vicino ai 5 miliardi di euro. E, messa così, non c'è di che rallegrarsi. Ma parlando in generale, basta analizzare meglio quei numeri per scoprire che in realtà siamo di fronte a un forte rallentamento dell'incremento finale della spesa delle ASL e degli ospedali, che dal ritmo di un incremento del 10,79 per cento nel 2004 sembra attestarsi, nel 2009, a un ben più modesto 2,81 per cento. Solo alcune Regioni, tuttavia, hanno responsabilità del deficit, perché non hanno avviato o hanno avviato in ritardo forme di controllo della spesa. È vero che su questo deficit pesa un disavanzo di ben 1,7 miliardi di euro della spesa farmaceutica ospedaliera che, per evitare sfondamenti del tetto di spesa della farmaceutica convenzionale, ha dovuto accollarsi i costi dei farmaci innovativi inseriti sempre più massicciamente nella fascia H dei prodotti dispensabili esclusivamente in ospedale. Il ripiano della spesa della farmaceutica convenzionale, è bene ricordarlo, spetterebbe in buona parte alla filiera dei produttori e distributori, mentre il ripiano della farmaceutica ospedaliera ricade solo su chi gestisce gli ospedali.

D. Tutto questo per dire che cosa?
R. Tutto questo per dire che il deficit è il prodotto di uno storico sottofinanziamento del sistema, e che forse la gestione delle Asl e delle aziende ospedaliere in questi anni non è stata poi un così colabrodo, se il trend di spesa è diminuito nonostante il fatto che l'andamento dell'inflazione sanitaria - con i crescenti bisogni della popolazione e con i costi dell'innovazione tecnologica - sia assai maggiore dell'inflazione generale. E questo è anche merito di un'azione di alcune Amministrazioni regionali che hanno governato i fattori di spesa migliorando la quantità e la qualità dell'offerta.

D. Sulla sanità in questi giorni abbiamo sentito lanciare parole d'ordine bipartisan. Tipo: «Via la politica dalla sanità» oppure «Più servizi riducendo sprechi e costi burocratici». Ma come si fa a passare dagli slogan ai fatti?
R. Questo è propriamente un compito della politica, che sulle scelte da compiere nella sanità non può fare passi indietro. Siamo chiamati al voto anche per decidere quali «regole» deve darsi la sanità per coniugare buona qualità dei servizi e buona gestione economica. Il che non significa giustificare invasioni di campo indebite della politica nella gestione sanitaria, specie su appalti, forniture d'acquisto o, peggio ancora, sulle nomine dei primari.

D. Da dove si dovrebbe cominciare allora per evitare che la politica si sostituisca indebitamente ai manager?
R. È chiaro che la discrezionalità delle nomine e dei criteri di valutazione per la conferma o meno degli incarichi rende meno forti i manager rispetto al loro «azionista». Per questo si dovrebbero stabilire criteri più rigidi sia di selezione del management che di valutazione dei risultati, ancorando la conferma o meno degli incarichi a parametri di efficienza gestionale. Tra i requisiti per la nomina a direttore generale, ad esempio, si dovrebbe inserire anche la formazione in management sanitario. Che oggi può essere acquisita invece dopo l'incarico.

D. E per arginare le nomine politiche dei primari?
R. Riguardo alle nomine dei medici e degli altri professionisti alle cariche apicali, per mettere in pratica i buoni propositi il Parlamento ha da tempo avviato la discussione del disegno di legge sul «governo clinico» che stabilisce criteri meno discrezionali per la scelta dei responsabili di struttura complessa, come un po' burocraticamente si preferiscono oggi chiamare i vecchi primari. In pratica il direttore generale nomina una commissione di esperti presieduta dal direttore sanitario e composta da due dirigenti di struttura complessa, individuati attraverso pubblico sorteggio. A questa commissione spetterà proporre una terna all'interno della quale il direttore generale nominerà il vincitore. Così si riducono i margini discrezionali della scelta, e questo è un bene per tutti. In primis per i direttori generali. Una procedura peraltro già avviata autonomamente in alcune regioni, che Fiaso ha dichiarato di condividere, sia per il sostegno che offre agli stessi direttori generali chiamati comunque alla scelta finale, sia per quelle della professionalità dei candidati. Lo stesso dicasi per i criteri di selezione, nomina e valutazione degli stessi direttori generali, che pur con qualche lacuna vanno comunque nella direzione auspicata dalla Fiaso. Non altrettanto bene si può dire del collegio di direzione, il quale si prefigura più come un organo pletorico che non come luogo di condivisione delle scelte tra amministrazione e i professionisti sanitari, chiamati poi a realizzare quelle scelte condivise. Infatti prevedere, così come fa il disegno di legge, la presenza di «rappresentanti» delle professioni sanitarie fa sì che in futuro i collegi di direzioni richiamino alla memoria i certamente non rimpianti consigli dei sanitari. Questa volta di marca un po' più sindacale che politica, che rappresenterebbero una contraddizione rispetto alle parole che la stessa politica ha pronunciato in campagna elettorale.

D. Un'altra delle parole d'ordine lanciate in campagna elettorale è «Meno sprechi e più servizi». Come metterla in pratica?
R. Gli slogan sono sicuramente riduttivi e talvolta demagogici. Indipendentemente dal modello seguito dalla Regione, occorre che il sistema riesca a produrre miglioramenti dell'efficienza e dell'economicità. Reputo che ciascuna Regione debba trovare, sulla base delle proprie risorse, capacità di governo per attuare il modello più idoneo. L'obiettivo dev'essere avvicinare l'offerta ai reali e diversificati bisogni del territorio.

D. Per ridurre gli sprechi si parla anche di fissare dei costi standard ai quali agganciare il finanziamento. Che cosa ne pensa?
R. I criteri di finanziamento delle singole aziende sanitarie non sono sempre trasparenti e si basano, di fatto, sull'ancora imperante criterio della spesa storica, per cui si finanzia in base a quello che si spende, e non in funzione di come lo si spende e per quali reali bisogni. Ben vengano quindi anche i «costi standard», purché non si finisca per traslare tali costi da qualche esperienza locale fin troppo positiva e di aggravare, di fatto, il sottofinanziamento del sistema.

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