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ECONOMIA.
IL POSTO FISSO
NON BASTA PIÙ, URGONO PROSPETTIVE
DI REINSERIMENTO
NEL LAVORO




del sen. TIZIANO TREU
vicepresidente Commissione Lavoro del Senato


 

e analisi internazionali più accreditate sottolineano che l’economia mondiale sta avviandosi alla ripresa; ma si ritiene che non ritornerà ad essere «normale» , cioè come noi la conosciamo. Questa prognosi si riferisce soprattutto alle economie mature, tra cui rientra bene o male anche l’Italia. È bene valutarla attentamente e trarne le necessarie conseguenze, per il nostro Paese, ora che è in piena discussione la legge finanziaria.
I punti critici più visibili della struttura economica sono la debolezza dei consumi interni e la disoccupazione. Dall’inizio della crisi la disoccupazione nel mondo è cresciuta di 25,5 milioni, secondo l’Ocse, ed è destinata ad aumentare fino almeno a metà del prossimo anno. Anzi il peggio deve ancora venire proprio per le economie industriali. L’«Economist» cita Germania e Svezia, ma lo stesso vale per le regioni più industrializzate del Nord Italia.
Finora la nostra disoccupazione è cresciuta lentamente per il freno introdotto dalla Cassa integrazione. Così è stato anche in altri Paesi che hanno sostegni simili, per esempio il Kurzarbeit tedesco. Ma la durata della Cassa sta per esaurirsi in molti casi. Non può reggere, se la crisi occupazionale continuerà nel 2010. E questo vale anche per le Casse in deroga (per chi ne beneficia). Inoltre il nostro tasso di attività è più basso di tutti gli altri Paesi. E la crisi lo sta riducendo, perché scoraggia le persone a presentarsi sul mercato del lavoro, specie i gruppi più deboli, donne, giovani e anziani. Sono centinaia di migliaia di persone, sottratte alla crescita collettiva e personale.
Questi dati portano a conclusioni precise e richiedono scelte nette, non mezze misure. Dopo la crisi del 1979 sono stati necessari otto anni agli Stati Uniti per riprendere i livelli occupazionali precedenti. Secondo l’Ocse, Paesi come la Francia non si sono mai ripresi del tutto. La prima priorità, condivisa non solo da sindacati e imprenditori ma dall’Ocse, è di impedire, per quanto possibile, la perdita dei posti di lavoro; e poi di far rientrare al più presto nel circuito produttivo le persone che sono colpite dalla crisi.
Di qui l’importanza di migliorare e generalizzare il sistema degli ammortizzatori sociali, sia le Casse integrazione che mantengono il rapporto di lavoro con l’impresa, sia gli assegni di disoccupazione. È un presupposto per sostenere i consumi e per non disperdere risorse umane essenziali alla ripresa. Le parti sociali, e l’opposizione, lo sostengono da tempo e ora qualche cenno di disponibilità sembra intravedersi anche nella maggioranza. Questa più che mai dovrebbe essere materia bipartisan.
L’affermazione del ministro dell’Economia Giulio Tremonti sul posto fisso e sulla necessità di dare stabilità ai lavoratori fa ben sperare; si auspica che il dibattito politico e parlamentare vi dia seguito. Ma tutelare il posto di lavoro e il reddito non è sufficiente se non si danno prospettive di reinserimento nel lavoro. Anche qui i tempi sono decisivi. Le stime internazionali indicano che, dopo un anno di disoccupazione e di inattività, due lavoratori su tre rischiano di essere persi definitivamente.
Di qui la seconda urgenza: migliorare i nostri sistemi di politica attiva, i servizi all’impiego, la formazione e l’aggiornamento professionale mirati. I buoni esempi non mancano neppure in Italia; alcune regioni e provincie, dal Trentino Alto Adige al Veneto, all’Emilia e alle Marche, hanno sviluppato strumenti efficienti secondo le migliori pratiche europee. Ora più che mai questi strumenti vanno potenziati e generalizzati, senza cedere alla tentazione di usare tutte le risorse per sostegni al reddito distraendole dalle politiche attive. Altrimenti la ripresa economica ci troverà impreparati. Purtroppo in questa tentazione stanno cadendo le attuali proposte governative sul bilancio e sulla Finanziaria, che operano forti tagli a queste politiche. L’efficacia degli interventi dipende molto non solo dall’impegno istituzionale, ma dal contesto economico. In un mercato depresso è difficile attuare politiche del lavoro credibili e anche «punire» chi non si attiva per cercare lavoro.
Di qui la terza priorità. Le prospettive del mercato del lavoro non migliorano solo perché migliora la mobilità. Dipendono essenzialmente dalle prospettive di crescita e quindi dagli investimenti. È una constatazione comune, quasi evidente, ma va richiamata con forza perché mostra un altro punto critico, forse il più grave del nostro Paese. Gli investimenti sono crollati e non accennano a riprendersi. Occorre rilanciarli anche con un sostegno pubblico, perché in tutte le crisi quest’ultimo si è rivelato essenziale.
Per questo in Francia e in Germania si ritorna a parlare di ridurre le tasse sulle imprese e sugli investimenti. A cominciare dall’Irap, sulla modifica o sul superamento di questa imposta va compiuto un approfondimento serio fra Governo e opposizione, valutando modi e alternative di finanziamento. Dopo la crisi non si potrà però continuare «come prima» con gli stessi prodotti, con le stesse tecnologie, con la stessa organizzazione e struttura delle imprese. Se si vuole riprendere uno sviluppo nazionale, questo dovrà essere diverso, con più innovazione. Non a caso anche Paesi tradizionalmente liberisti, come gli Usa, stanno rilanciando politiche industriali concentrate sull’innovazione: la «green economy» è solo l’area più evidente.
Il compito non è quello di scegliere un settore piuttosto che un altro, con rischi di distorsione, ma di promuovere industrie e tecniche che il Paese non ha mai provato prima. Sperimentare e poi controllare se funziona. Questa è la via che il nostro sistema ha imboccato nei momenti migliori. La crisi è un’occasione per riprenderla. Anche in questo caso, con un patto economico e sociale che coinvolga tutti gli attori organizzati e le istituzioni nei territori e a livello nazionale.

 

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