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Terrorismo 1

Allarme dei Servizi segreti sulla minaccia jihadista

Terrorismo 2

La minaccia interna
delle nuove B.R.
e degli Anarchici
Insurrezionalisti

di Antonio Marini

 



Allarme dei Servizi segreti sulla minaccia jihadista

Il terrorismo internazionale di matrice islamica continua a rappresentare una grave minaccia per il nostro Paese. Il dato più preoccupante che emerge dalla relazione semestrale dei Servizi sulla sicurezza, presentata il primo agosto scorso al Parlamento, è la rinnovata centralità ideologico-operativa di Al Qaeda, attraverso la reviviscenza del suo epicentro afgano. L’attività di intelligence svolta nel primo semestre 2007, in cooperazione con i collaterali organismi internazionali, ha confermato che la rete terroristica costituita da Bin Laden, seppure gravemente danneggiata dopo l’invasione dell’Afghanistan, è riuscita a riorganizzarsi.
La riapparizione dello stesso Bin Laden alla vigilia del sesto anniversario degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti dimostra che la sfida all’America continua, e che essa coinvolge tutto l’Occidente. In questa ottica vanno letti gli sviluppi della minaccia jihadista evidenziati nella relazione, compreso quello riguardante il rafforzamento del fenomeno terroristico su base regionale, particolarmente evidente e insidioso nel Maghreb dove la trasformazione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) algerino in Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), sembra segnare il passaggio a un orizzonte di tipo universalista.
Dall’analisi complessiva del patrimonio di intelligence si evince che nei primi sei mesi dell’anno in corso la rete jihadista ha confermato la propria vitalità in una molteplicità di ambiti territoriali, inclusi quelli nei quali operano i contingenti italiani. La presenza di articolati circuiti salafiti in Europa prospetta rischi accentuati anche per l’Italia, dove si registra peraltro un crescente aumento di centri di aggregazione islamica che, pur organizzati e frequentati da persone che rispettano la legge, restano potenzialmente esposti ad infiltrazioni radicali.
Una particolare attenzione nell’attività di prevenzione e di contrasto dei tentativi jihadisti di infiltrare tali spazi associativi è stata rivolta alle moschee, il cui numero continua a crescere vertiginosamente: dalla fine del 2006 al maggio di quest’anno sono passate da 696 a 735 unità. In questo contesto, i rischi maggiori per il territorio nazionale appaiono riconducibili prevalentemente a un apparato reticolare di provenienza nordafricana, in cui la componente maghrebina ha assunto un ruolo centrale. Non a caso i recenti provvedimenti di espulsione dal territorio nazionale e l’operazione di polizia svolta il 7 giugno scorso nel Milanese ha riguardato soggetti contigui od organici all’ex GSPC.
Anche in Europa le operazioni di polizia condotte nella prima metà dell’anno hanno evidenziato il coinvolgimento di elementi maghrebini nel reclutamento di volontari da impiegare in attività terroristiche nei teatri di Jihad. Significativi, al riguardo, appaiono gli arresti effettuati in Francia tra il 13 e il 14 febbraio scorso e quelli operati il 28 maggio e il 26 giugno in Spagna, che hanno evidenziato il sostegno alla guerriglia in Iraq e il reclutamento di militanti destinati ad addestrarsi nel Sohel.
L’esposizione a rischio dell’Inghilterra è stata ribadita dai fatti accaduti a Londra e a Glasgow tra il 29 e il 30 giugno, che segnano il tentativo di inaugurare in Europa il ricorso alla tecnica dell’autobomba ovvero dell’autovettura impiegata in azioni suicide, tipica della violenza jihadista, specie nel contesto iracheno. Tale aspetto, unito alla natura «artigianale» delle citate azioni, torna ad evidenziare i pericoli legati al «contagio» ideologico e operativo tra i teatri di guerra e l’Occidente, nonché quelli connessi a forme tipiche di terrorismo «fai da te» che si ispirano a formazioni e reti più strutturate per replicarne intenti, progetti e metodologie offensive.
Si coglie in questo tutta l’insidiosità di un disegno che mira a spostare in territorio occidentale il fronte del Jihad, avvalendosi anche di «ambienti di affinità», coltivati dalla pubblicistica radicale, in grado di attivarsi a prescindere dall’apporto direzionale e operativo dei vertici di Al Qaeda. Nella relazione si evidenzia, inoltre, l’intensa attività mediatica - divenuta, ancor più che in passato, «parte fondante della resistenza jihadista anticrociata» -, che ha omologato linguaggio e tecniche, conferendo pari visibilità ad articolazioni di diversa consistenza e valenza.
La propaganda, che trova tuttora nel web il veicolo di diffusione privilegiato, resta lo strumento cardine sia per mantenere elevata la pressione intimidatoria, sia ai fini di radicalizzazione e reclutamento, sia per riaffermare, pubblicizzare e attualizzare programmi e moduli organizzativi. I propositi antioccidentali sono sintetizzati nelle parole del numero 2 di Al Qaeda, Avman Al Zawahiri, che ha ricordato come le scelte strategiche di medio termine dell’organizzazione contemplino non solo «gli interessi economico-militari e la presenza in Medio Oriente dei Crociati», ma anche «attacchi direttamente sul loro suolo». Ciò significa che anche l’Italia resta a tutt’oggi potenziale obiettivo di un’azione terroristica proveniente dal Jihad globale.



La minaccia interna delle nuove B.R. e degli Anarchici
Insurrezionalisti

ella 59esima relazione sulla politica informativa e della sicurezza, relativa all’attività svolta dai Servizi nella prima metà del 2007 per fronteggiare la minaccia terroristica interna si ritorna a parlare di Brigate Rosse. Al centro dell’attenzione vi è il progetto eversivo neo-brigatista, neutralizzato dalla vasta operazione di polizia (cosiddetta Operazione Tramonto) che il 12 febbraio scorso ha portato all’arresto di 15 persone accusate di aver costituito un’organizzazione terroristica d’ispirazione brigatista, denominata «Partito Comunista Politico-Militare».
Come si evidenzia nella relazione, tale progetto si ispira ideologicamente alla cosiddetta «seconda posizione», che affida la via rivoluzionaria non già a ristrette avanguardie, ma a un partito che organizzi la lotta armata per la conquista del potere. Si tratta di un filone ideologico, che nato nei primi anni 80 in polemica con l’ala militarista delle B.R., è stato alimentato negli anni successivi da una copiosa produzione teorica, su impulso dei terroristi rifugiatisi in Francia tra cui quel Davanzo Alfredo risultato il leader della nuova formazione, il quale al momento dell’arresto si è subito dichiarato militante rivoluzionario.
La struttura del nuovo sodalizio eversivo è risultata basata sul tipico doppio livello: il primo, clandestino, con azioni di «propaganda armata», cioè dedito ad iniziative armate di carattere dimostrativo contro obiettivi-simbolo ritenuti particolarmente paganti sul piano del consenso tra le masse; il secondo, palese, con un «lavoro politico» basato sull’inserimento strumentale di ogni tipo di conflitto ritenuto funzionale alla costituzione della prospettiva rivoluzionaria, dalle lotte in Val di Susa alle proteste no war, dalle vertenze sindacali al cosiddetto antifascismo militante, con particolare attenzione ai luoghi di lavoro e agli ambienti universitari.
Proprio la contiguità dei neo-brigatisti arrestati con circoli e ambienti dell’antagonismo ha costituito uno degli elementi alla base della massiccia ondata di solidarietà seguita all’operazione di polizia: 227 gli episodi segnalati, che dimostrano come sia radicata nel Paese la presenza di gruppi che considerano tuttora valida e attuale la lotta armata e il rovesciamento violento delle istituzioni. La mobilitazione è stata scandita da iniziative pubbliche di sostegno ai militanti in carcere , come assemblee, presidi, raccolte di fondi, manifestazioni con slogan filo brigatisti, e da una serrata campagna propagandistica contro la repressione, con accenti di dura contestazione non soltanto nei confronti della Magistratura e delle Forze di Polizia, ma anche di partiti di Governo, sindacati e organi di stampa.
Significativa, al riguardo, la manifestazione svoltasi il 3 giugno scorso davanti al carcere de L’Aquila, ove è detenuta la brigatista Nadia Lioce condannata definitivamente all’ergastolo per gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Sono tornati a circolare loghi e slogan degli anni di piombo, parallelamente alla diffusione di volantini di impronta marcatamente eversiva, anche nei luoghi di lavoro. È emerso, comunque, un substrato di condivisione dell’ideologia rivoluzionaria e di simpatia verso il brigatismo davvero preoccupante. La segnalata presenza, accanto ad elementi più giovani, di estremisti che hanno vissuto la stagione degli anni di piombo conferma le pregresse indicazioni d’intelligence sull’eventualità che personaggi con questo retaggio assumano centralità in un rinnovato sviluppo delle dinamiche eversive in Italia.
Del resto il pericolo che progetti eversivi di ispirazione brigatista possano sopravvivere al ricambio generazionale ha trovato un significativo riscontro nella ragguardevole differenza di età tra alcuni dei militanti arrestati. Sulla scia delle reazioni agli arresti del 12 febbraio è tornato a farsi risentire il Fronte Rivoluzionario per il Comunismo, che il 7 marzo ha rivendicato la collocazione, presso un Commissariato di polizia, di un ordigno rimasto fortunatamente inesploso.
In sostanziale corrispondenza temporale con l’attivazione di tale gruppo eversivo sono avvenute le sortite della F.A.I-Federazione Anarchica Informale, che continua a rappresentare la minaccia più concreta nel panorama dell’eversione anarco-insurrezionalista. In questo contesto desta forte preoccupazione il rilievo dato al documento nel quale si evidenzia l’esigenza di interloquire con altre realtà dell’estremismo rivoluzionario e dell’antagonismo, insieme a propositi offensivi di maggiore portata.
Sul piano operativo, in dichiarata continuità con la campagna avviata nell’estate del 2006, la F.A.I. con l’associata R.A.T. (Rivolta Anonima e Tremenda), si è assunta la paternità del triplice attentato compiuto il 5 marzo in un quartiere residenziale di Torino. Gli sviluppi giudiziari che nel semestre hanno interessato l’area anarchica hanno concorso ad alimentare una pubblicistica dai toni particolarmente aggressivi che, come di consueto, ha trovato nella rete un canale privilegiato di amplificazione. E proprio il web testimonia i segnalati collegamenti con altri gruppi europei, soprattutto spagnoli e greci, responsabili nei rispettivi Paesi di una serie di attentati contro vari obiettivi.

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