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Adepp

Il Paese va avanti
se le professioni
si sviluppano e concorrono
all’efficienza della società

di MAURIZIO DE TILLA
presidente della Federazione degli Ordini degli avvocati d’Europa
e dell’AdEPP

«Nel panorama
generale di diffidenza
verso i professionisti
abbiamo certamente
avuto un grande alleato,
e questo è stato
il Ministero del Welfare
attraverso i ministri
che si sono succeduti
(ultimo Cesare Damiano)
che, insieme alla dirigenza,
hanno sempre creduto
negli effetti positivi
della privatizzazione come
beneficio per lo Stato
sollevato dalle proprie
responsabilità».


Le Casse professionali hanno accolto con grande soddisfazione il messaggio inviato ai partecipanti al «Decennale» dal presidente del Senato come prestigioso e importante riconoscimento, da parte della seconda alta carica dello Stato, dell’attività svolta nei primi dieci anni di vita dell’Adepp, istituita dopo la privatizzazione delle Casse professionali. Le Casse hanno sperimentato con successo un tipo di previdenza privata che ha trovato i professionisti protagonisti dello sviluppo della sicurezza sociale al punto che il presidente Franco Marini afferma, nel proprio messaggio, che il Paese dovrebbe utilizzare questa esperienza anche nel sistema previdenziale pubblico. Con la privatizzazione abbiamo vinto una scommessa incredibile.

All’epoca della privatizzazione eravamo stremati, perché lo Stato aveva sottoposto le strutture pubbliche professionali alle più forti angherie imponendo investimenti immobiliari e mobiliari, tanto più pericolosi nel periodo di tangentopoli. L’interferenza dello Stato si era concretizzata nel dettare criteri per i piani di investimento, soffocando l’autonomia che è insita nelle professioni, attraverso controlli burocratici e rigidi che non arrivavano all’espropriazione del patrimonio del risparmio privato dei professionisti solo perché lo Stato già considerava come proprio tale patrimonio.

Nel 1993 fu varata una legge perversa di prelievo forzoso, e prima il 20 per cento, poi il 30 per cento delle entrate contributive, venne confiscato per un certo numero di anni dal Ministero del Tesoro, con un interesse convenzionale che ha portato considerevoli danni (mancate entrate) per centinaia di miliardi di lire a ciascuna Cassa. Riflettendo sul passato possiamo ritenere, con buona probabilità di non sbagliare, che quando per legge al pubblico è subentrato il privato previdenziale, alcuni settori della politica, abituati a una visione centralista, non si sono resi conto della portata di tale innovazione. Appena dopo la privatizzazione abbiamo visto circolare tra i politici, anche nell’ambito degli stessi professionisti, voci di interessato pessimismo che mascherava il pentimento di una scelta che finiva per sottrarre il risparmio previdenziale privato alle grinfie dello Stato.

«Non ce la farete», dicevano i nostri interlocutori. Ricordo in proposito che un senatore, il quale presiedeva un ente di controllo, si espresse in un Convegno dicendo «Fra qualche anno le Casse verseranno in uno stato di decozione». Abbiamo lavorato. E come abbiamo lavorato! Ma questo è un dato riconosciuto da tutti. Abbiamo raddoppiato e in taluni casi triplicato il patrimonio gestito. Tutte le Casse professionali hanno spostato in avanti le proiezioni attuariali. Le Casse hanno almeno 5 annualità correnti di riserve, ma c’è anche chi ne ha 5 o addirittura 13. Tutte le Casse hanno avviato un processo di autoriforma non imposta dall’alto: commercialisti, giornalisti, geometri, veterinari. Anche gli avvocati hanno avviato un’incisiva riforma della normativa previdenziale.

È molto importante per i professionisti manifestare la volontà di ammodernare le proprie istituzioni. Forse dobbiamo cambiare la strategia da adottare anche nelle istituzioni ordinistiche delle professioni, perché i professionisti hanno grandi capacità di autoriforma. Quando siamo diventati privati, siamo diventati più responsabili. Perché il professionista quando gioca sulla propria pelle il proprio destino, viene fuori con il meglio di se stesso. È in atto nella previdenza privata un processo virtuoso, faticoso, che si deve ancora completare. Abbiamo bisogno di riaffermare la natura privata degli Enti. Solo se il privato va avanti possiamo conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati. Se cambiamo natura e diventiamo nuovamente pubblici, cesserà ogni progetto di incremento e di miglioramento.

Grave errore sarebbe, da parte dello Stato, quello di ingerirsi nella previdenza professionale in contrasto con il dettato costituzionale che prevede una normativa binaria: la previdenza pubblica integrata dallo Stato e la previdenza privata predisposta dallo Stato senza alcun finanziamento pubblico. Nel privato, non abbiamo una previdenza assicurativa a capitalizzazione, bensì una previdenza improntata su principi di forte solidarietà. Realizziamo, infatti, una puntuale solidarietà all’interno di ciascuna categoria. Una cosa è certa: noi combatteremo contro qualsiasi iniziativa del Legislatore, del Governo e di qualsiasi parte politica che vorrà d’imperio accorpare gli Ordini e le Casse professionali. La scelta di accorpamento, ammesso che sia concepibile, la possono fare in piena autonomia e autodeterminazione solo i professionisti e, per loro, le Casse e gli Ordini professionali.

Il nostro è un mondo che si sa governare e non ha bisogno dello Stato badante. È un mondo garante delle proprie responsabilità. Nel 1998 un signore ci disse «Ci penso io a voi. Mi incasso tutti i contributi delle Casse». Non ricordo più il nome di questo signore. Non lo leggo più sui giornali, è scomparso dalla scena politica. «Incasso tutti i contributi–diceva nel 1993–, poi faccio la compensazione con i crediti fiscali ed entro tre giorni ve li restituisco». Mi dispiace, ma non ci abbiamo creduto. Abbiamo combattuto quelle intenzioni non proprio amichevoli. Sono scese in campo tutte le professioni, sono scesi in campo gli Ordini, i sindacati, le Casse professionali.
Abbiamo sventato questo disegno. Dietro probabilmente c’era il pentimento di aver realizzato la privatizzazione, resipiscenza che va diminuendo dopo la nostra ferma opposizione, ma che esiste ancora. Perché a qualsiasi Governo che deve gestire un forte deficit fa comodo diminuire il disavanzo attraverso le entrate contributive e l’acquisizione degli attivi delle Casse professionali. C’è sempre l’intendimento, da parte di una mentalità burocratica statalista e famelica, di mettere le mani sulle Casse.

Nel panorama generale di diffidenza verso i professionisti abbiamo certamente avuto un grande alleato e questo è stato il Ministero del Welfare attraverso i ministri che si sono succeduti (ultimo Cesare Damiano), i quali, insieme alla dirigenza, hanno sempre creduto negli effetti positivi della privatizzazione come beneficio per lo Stato sollevato dalle proprie responsabilità. E, come ritorno positivo, abbiamo avuto un mondo virtuoso previdenziale con uno Stato sottratto a impegni di sussidiarietà che possono essere rivolti altrove. Il Ministero del Welfare ci ha sempre creduto e ha alimentato, mediante una serie di delibere autorizzative, la natura privata delle Casse professionali.

Viceversa, se guardiamo dall’altra parte, non si vede la stessa comprensione e partecipazione, ma si vedono i segnali minacciosi del Ministero dell’Economia. Non è possibile che una compagine governativa, quale sia (di destra o di sinistra), abbia due visioni contrapposte dello stesso problema. Non possiamo pensare che il Ministero dell’Economia diventi l’ostacolo principale per lo sviluppo privatistico delle Casse opponendo, come scusante, un’ottica deformata che è pretestuosamente europea. Perché tutti sanno che nei conti europei figurano pure gli attivi delle Casse. Ciò può ipotizzare anche un falso in bilancio. Anche se sorvoliamo su tale aspetto pur rilevante, non possiamo cedere sul concetto di intangibilità dei nostri patrimoni. Possiamo pure accettare che, per il bene del nostro Paese, una parte di ricchezza privata, acquisita con il sacrificio e il risparmio privato, vada figurativamente nei conti generali e nel bilancio consolidato dello Stato, tenuto conto che si è, comunque, in presenza di una finalità di interesse pubblico.

Ma una cosa è l’apparenza, altra è la realtà. I patrimoni delle Casse sono dei professionisti, non appartengono allo Stato. Quanto sopra esposto non esclude, peraltro, che il Ministero dell’Economia possa, e forse debba, agevolare le nostre riforme. Perché se si fanno le riforme normative e si chiede ai professionisti l’aumento dei contributi, non si coinvolge, né direttamente né indirettamente, lo Stato, come si vuol far credere. Bisogna riuscire a comporre in nostro favore il dissidio tra i due Ministeri. Con queste parole lancio un messaggio al Ministero dell’Economia affinché si renda conto che il Paese cammina e procede positivamente se alcuni settori privati si sviluppano e concorrono alla produttività del Paese.

Invece che il favore abbiamo avuto da alcuni rappresentanti politici segnali di sgarbo e di disattenzione. Abbiamo alcuni settori della politica che ci offendono tutti i giorni e arrogantemente, veniamo tacciati di essere evasori e profittatori. Secondo questa parte politica, il lavoro professionale non è giustamente retribuito ma super-retribuito. I professionisti vengono trattati con le ingiurie e le minacce. Ma quale obiettivo si vuole raggiungere con tali sprezzanti comportamenti? Forse si coltiva l’obiettivo di mettere nell’angolo il lavoro produttivo, il lavoro autonomo? Certo è che professioni e Casse professionali sono soggetti passivi di un’azione, non solo dimostrativa, di spregio e di denigrazione.

In tal caso, invece che combattere l’evasione fiscale della delinquenza organizzata, i proventi illeciti della corruzione, il sommerso e i quattro milioni di italiani che non presentano la denuncia dei redditi mentre hanno un’attività lavorativa, si combattono i professionisti nella prospettiva di aumentare la già intollerabile pressione fiscale. Si combatte il mondo delle professioni che è articolato, segmentato, ma allo stesso tempo unitario e compatto. Il nostro mondo è interconnesso. Le istituzioni rappresentative sono gestite da professionisti responsabili che continuano il loro lavoro.
Respingiamo ogni concezione mercantile della professione. Contestiamo, nello stesso tempo, quella concezione statalista che si vorrebbe perversamente introdurre nelle organizzazioni rappresentative delle professioni.

L’anima statalista appartiene a una rappresentazione della società che è ormai superata e ripudiata. Le professioni non possono essere sotto il controllo invasivo e arrogante dello Stato. La visione centralizzata vorrebbe imporre la creazione di un’Authority sulle professioni, un organismo forte che dovrebbe influire sui codici deontologici e sulle attività professionali. L’Authority è animata da una componente statalista. Non si vuole più il professionista come garante dei diritti. Ma si vuole un professionista dequalificato, proiettato verso il basso, senza tirocinio, con scarsa formazione, in nome di un’«uguaglianza al piano terra» che si fa passare come apertura ai giovani, ma che non è altro che l’attuazione di un progetto di smantellamento delle attività (e delle organizzazioni) dei professionisti.

Laurea eventuale, esame di Stato abolito, tirocinio corto o inesistente, ridimensionamento degli Ordini. La creazione di nuove associazioni porterà via iscritti alle Casse professionali e determinerà l’inizio di un percorso di iscrizione facoltativa. I giovani professionisti finiranno per perdere l’iscrizione alla Cassa di categoria e affluiranno tutti a una gestione speciale dell’Inps senza alternative. La previdenza professionale sarà, quindi, solo di secondo pilastro e finirà qualsiasi sistema di solidarietà endocategoriale. Si può cambiare, ma non si può smantellare il nostro sistema professionale consolidatosi negli anni. Non lo chiede l’Europa, è una grande bugia che l’Europa imponga modelli alternativi. E questa è la più grossa falsità che abbia mai sentito dichiarare in una legge del nostro Parlamento. L’intento è di raggiungere l’obiettivo di mettere in difficoltà i professionisti abbassando il livello di preparazione.

Il mondo delle professioni raccoglie individui che lavorano, che si sentirebbero vincenti in una società premiale se non vi fossero alcuni settori della politica che combattono il lavoro autonomo. Combattono le scelte indipendenti, la produttività, l’eccellenza, le capacità individuali. Ma anche l’integrità. Le professioni non hanno mai avuto un Legislatore del tutto favorevole alle loro ragioni. La prima stesura legislativa della totalizzazione si presentò come funesta per le Casse professionali intervenendo negativamente sugli equilibri finanziari. Abbiamo intrapreso una battaglia contro la dissolvente totalizzazione e abbiamo avuto una legge e un regolamento ministeriale che hanno riequilibrato i conti. Anche l’indennità di maternità ha formato oggetto di un elaborato intervento legislativo.

Il futuro sarà segnato non solo dalla previdenza obbligatoria, avremo altri due pilastri costituiti dalla previdenza complementare e dall’assistenza sanitaria integrativa. Il pericolo è che prevalga l’anima statalista e prevalgano sul privato le esigenze di colmare il deficit pubblico che si incrementa ma non per colpa nostra. Aumenta perché ci sono sprechi e privilegi. Non voglio parlare male della previdenza pubblica (il presidente dell’Inps Gian Paolo Sassi ha fatto cose eccezionali), ma le pensioni di invalidità e le pensioni di anzianità della previdenza pubblica sono più del 40 per cento. Le pensioni baby sono un numero enorme. Le pensioni di invalidità e di anzianità delle Casse professionali, tutte assieme, non superano il 4 per cento. Le Casse sono in piena crescita e per il loro sviluppo hanno bisogno solo di incrementare le entrate per garantire posizioni attuariali a 30, 40 anni.

Le Casse professionali hanno una gestione virtuosa che è da tutti riconosciuta. Abbiamo gestito le Casse private senza clientele, senza parassitismi, senza cooptazioni, senza fare favori a nessuno. Abbiamo gestito come andrebbe sempre gestita la cosa pubblica. Non vogliamo finire nel calderone della previdenza pubblica proprio per la ragione che siamo un modello diverso, con diversa responsabilità e professionalità. Ha detto bene qualcuno ben più autorevole di me: ci dovrebbe essere un ripensamento in tutto il sistema pubblico nella considerazione del «come» i professionisti italiani (che si davano per dispersi e sbandati, in crisi, non europei), sono riusciti a costruire un ineguagliabile modello di previdenza privata. I professionisti italiani non sono in débacle, non sono gli ultimi. E la nostra previdenza professionale è la migliore in Europa. In Italia c’è un ceto professionale forte che va solo ammodernato, indirizzato, riqualificato. Indubbiamente più il professionista è attrezzato e potenziato, più ciò è conveniente per le Casse.

Abbiamo avuto una normativa che ci consente di istituire la previdenza complementare e ci consente, altresì, di creare un polo sanitario. Abbiamo avuto l’ultima legge sulla previdenza che sancisce in maniera chiara e inequivocabile la separazione ideologica e normativa della previdenza privata da quella pubblica. È una dichiarazione di principio che va sempre ribadita: ogni tanto c’è qualcuno che vorrebbe inserire una norma di «deriva pubblica» all’interno del mondo della previdenza privata. La previdenza privata dei professionisti è rappresentata da una pluralità di modelli. Esistono 6, 7 modelli nelle Casse professionali e ogni modello è autosufficiente e ha nel proprio valore intrinseco le capacità di realizzare l’obiettivo della stabilità. Sia pure attraverso strade diverse.

C’è un modularismo e una flessibilità nella previdenza privata che fa parte solo della creatività dei professionisti e dell’intelligenza di questo settore del lavoro autonomo. Non c’è la mentalità burocratica che vorrebbe introdurre capziosamente il concetto «Tutti uguali sul basso». L’Enpam ha 5 modelli. La Cassa notarile ha il modello più avanzato di solidarietà, di profilo molto alto. Altre Casse hanno accolto il principio contributivo e hanno problemi opposti: vorrebbero rafforzare il proprio sistema per erogare pensioni migliori. Gli avvocati adottano il sistema a ripartizione con il retributivo e pensano di raggiungere gli equilibri finanziari attraverso tale percorso.

Abbiamo, quindi, il settore della previdenza privata che trae principale fondamento da criteri di flessibilità. Che è il contrario della rigidità di un sistema statalista (e falsamente egualitario). L’unità non significa uguaglianza a tutti i costi. Esiste ed è importante la diversità nell’unità. Quindi «no» agli accorpamenti e agli interventi invasivi sulle Casse e sugli Ordini professionali. Se continuano ad attaccarci fonderemo, per difenderci, il partito dei professionisti. Se andiamo all’opposizione è perché siamo attaccati proditoriamente. Nessuno di noi nasce come opposizione. I professionisti hanno una cultura governativa, una cultura di integrazione istituzionale. Hanno un ruolo che all’interno dello Stato ha una specifica finalità pubblica. Insomma, non possiamo concepire il professionista solo al servizio del proprio cliente; anche il politico più sprovveduto sa bene che ci sono funzioni di carattere generale che coinvolgono l’intero sistema pubblico e la collettività.

Nel sale di questo Paese ci sono le professioni. E la politica, se capisce questo, conquista anche il consenso e l’adesione di un mondo di milioni e milioni di professionisti, integrato dai collaboratori, dai dipendenti, dai familiari. È un mondo complesso di 5, 6 milioni di soggetti che vivono nell’ambito del lavoro autonomo basandosi sulle capacità personali e su una visione competitiva e premiale della società.

Maurizio de Tilla

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