back


Realtà virtuale

Il Grande Inganno
che mina rapporti reali
e affetti familiari

di Giorgio Fozzati


è da fare attenzione quando si sente questa frase: «Praticamente ho finito». O anche le sue declinazioni più prossime: «Hai cinque minuti?», «Faccio in un attimo», «Ti richiamo subito», «In un paio di minuti sono da te». Nessuno di noi, che abbia pronunciato almeno una volta al giorno una di queste affermazioni, ignora il significato del tempo e dello spazio. Sappiamo tutti che cosa sono centoventi secondi, non ci nascondiamo dietro a un orologio che non cammina; espressione dialettale napoletana: si applica anche alle automobili quando non funzionano bene.

L’accoppiata più pericolosa è quella dell’avverbio seguito da un’indicazione temporale: «Sinceramente penso di farcela a terminare per sera». L’avverbio tende a rafforzare il desiderio di completare ciò che stiamo facendo, non rappresenta un inganno per noi, ma per il nostro interlocutore. Il primo posto, nella classifica delle frasi pericolose, è la conosciuta espressione «Dallo per fatto». Ho appena terminato di asciugare le lacrime di un amico che non è stato ricandidato dal suo partito alle elezioni politiche: fino al giorno prima della chiusura delle liste tutti i vertici del partito gli assicuravano il posto in lista; il giorno dopo ha appreso da un giornale la sua esclusione, tanto più cocente per la forma oltre che per la sostanza.

Perché ci s’inganna e, senza volerlo, inganniamo gli altri con queste dichiarazioni? Da una parte c’è un’evidente mancanza di valutazione: non capiamo che un problema, che a noi ruba solo una parte dell’attenzione, nel momento in cui lo trasmettiamo ad altri può arrivare a rovinare un’intera giornata. E non parlo del risultato di una partita di calcio: basta pensare alla diversa valutazione che, nell’economia familiare, viene fatta da due genitori nei confronti dei risultati scolastici dei figli; o di un semplice dato contabile che, passato dal ragioniere alla mente dell’amministratore delegato, diventa un indice di difficoltà di bilancio.

Dall’altra parte c’è una difficile percezione del tempo, accentuata in questi ultimi dieci anni dalla realtà virtuale che ha inondato i nostri cervelli. Siamo imbottiti di espressioni come «In tempo reale», che non significa l’azzeramento del tempo tra il dire e il fare. Certamente ci siamo abituati a ridurre tanti tempi morti che prima offuscavano le nostre giornate: le code alla posta, agli uffici pubblici, alla banca, oggi cominciano ad essere un ricordo perché riusciamo a fare tutto da casa, con il nostro computer. I guai cominciano quando pretendiamo di trasferire questa velocità di operazione in altri campi che invece richiedono la consueta calma e riflessività.

Spesso scambiamo l’ordine con la meticolosità, oppure, più banalmente, riteniamo che si tratti solo dell’ordine materiale delle cose. Invece l’ordine deve essere prima di tutto nella testa, rispettando le priorità e i tempi con cui affrontiamo i nostri compiti quotidiani. Rimandare può risultare comodo, ma il più delle volte è letale. Precipitarsi non conviene mai, se non per portare qualcuno al Pronto soccorso. Le cose urgenti possono aspettare, quelle molto urgenti devono aspettare. Il boiler si rompe puntualmente il venerdì notte o il sabato, per evitare di trovare qualcuno che venga a ripararlo nel week end. Eppure si tratta di un’emergenza che deve passare in secondo ordine rispetto, per esempio, alla passeggiata che avevamo promesso a nostra figlia che doveva parlarci. Ci faremo la barba con l’acqua fredda, pazienza.

In genere tendiamo a sopravvalutarci dandoci tempi di realizzazione inferiori, e a sottovalutare gli impegni degli altri: questo è uno dei meccanismi che ci porta alla mancanza di puntualità. Siamo poco oggettivi con noi stessi mentre chiediamo agli altri di essere oggettivamente comprensivi delle nostre situazioni.
Il passaggio di generazione è ben definito dalla velocità: è sufficiente provare a giocare con i videogames dei figli o gareggiare per scrivere un testo per sms per capire che c’è un altro passo, un diverso contatto con la realtà. Che però rimane sempre virtuale, ed è importante continuare a rimarcare la linea di confine tra reale e virtuale: la confusione tra i due stadi ha portato già ad alcune tragiche conseguenze. Nel mondo virtuale tutto appare possibile e tutto scompare con la disattivazione del terminale. Ma tutto ciò che è virtuale avviene nel mondo reale, ha un costo e un’incidenza della quale occorre tenere conto. Per questo i videogames violenti sono del tutto inadatti ai giovani che non abbiano ancora sviluppato una capacità critica nei confronti della realtà: confondere i due piani annulla la coscienza dei propri atti.

Buoni rimedi sono le attività sportive e quelle manuali. Occorre sostituire ogni tanto ai giochi virtuali quelli reali, fatti di materialità e di colori, di odori, di forme e di pesi. Il successo che ha avuto la serie di libri del topo investigatore, Geronimo Stilton, con alcune pagine profumate al formaggio, è sintomatico di questa esigenza che ogni bambino ha di potersi misurare con le cose concrete.

La delusione di un bambino che apre un computer è pari solo a quella che prova aprendo un uovo di Pasqua senza sorpresa: vedere che i colori, i suoni, le animazioni dello schermo hanno la loro fonte in circuiti stampati e chip disorienta e delude. Perché tutti i bambini aprono i loro giochi, vogliono sapere come sono fatti dentro, chi c’è e perchè l’orso fa il suo verso quando gli premono la pancia. Il computer non ha pancia, anche se l’orso che appare sullo schermo è infinitamente più realistico di quello di peluche.

Per gli adulti il giardinaggio o il bricolage è un ottimo espediente per rimediare all’immaterialità della navigazione internet: confrontarsi con zappe e concimi, legno, chiodi, colla e trapano è salutare, riposante e costruttivo anche nei confronti della famiglia alla quale finalmente potremmo far vedere le nostre capacità nelle riparazioni casalinghe, boiler compreso. Accorgendoci che c’è bisogno di tempo, più tempo per stare insieme, e parlare con chi ci vuole bene senza «chattare» con degli sconosciuti incollati allo schermo illuminato, beninteso in tempo reale.

back