back


FABRIZIO SOLARI:
SALVARE L'OCCUPAZIONE
E UN PATRIMONIO
intervista al segretario della Filt-Cgil

Sono due i principali obiettivi dei sindacati nella lotta contro le oscure manovre
di compagnie straniere e di gruppi privati nazionali interessati a far fallire la società aerea italiana

C’è chi ha attribuito perfino la responsabilità del grave incidente ferroviario avvenuto il 7 gennaio scorso, e costato 17 morti e molti feriti, alla «cura Cimoli» praticata, fino allo scorso maggio, dall’allora presidente e amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Giancarlo Cimoli, che aveva il compito di risanare quell’azienda. Per cui non è tanto tranquillo dei risultati che potranno avere, lui e «i suoi accoliti tecnico-politici», nel salvare dalla crisi l’Alitalia, affidatagli con gli stessi incarichi lo scorso maggio. In particolare lo accusano, addirittura via internet, di adottare le stesse tecniche usate nelle Ferrovie, consistenti nel voler privilegiare il guadagno e la resa commerciale a scapito della sicurezza; frazionare la società in più aziende disarticolate fra loro e con diverse finalità; eliminare i parametri di sicurezza necessari nel trasporto come la corretta utilizzazione fisica, temporale e gestionale del personale per sfruttare maggiormente i lavoratori; ridurre drasticamente la manutenzione degli aerei e di tutto il materiale. Tutto diretto certamente a salvare dal fallimento l’Alitalia, ma per venderne le varie parti ai privati, come Cimoli stesso aveva annunciato all’atto dell’insediamento precisando che la privatizzazione «risulterà dalla partecipazione di investitori privati all’aumento di capitale dell’aviolinea alla quale il Ministero dell’Economia, azionista di maggioranza con il 62,3 per cento, intende partecipare a condizioni di mercato».
In effetti, inquietanti segnali già si sono registrati, addirittura con atti ostili adottati dai dirigenti, dietro interventi di oscuri interessi, nei riguardi di organi di stampa rei di aver sostenuto la necessità di salvare l’Alitalia, tutelare l’occupazione, evitare il fallimento mediante interventi finanziari dello Stato, anche in contrasto con la normativa europea ovviamente favorevole alle tesi delle concorrenti compagnie straniere. Ma a che punto è la vicenda dopo 8 mesi di gestione Cimoli? Lo spiega Fabrizio Solari, segretario della Filt, Federazione Italiana Lavoratori del Trasporto aderente alla Cgil.
Domanda. Quali sono gli obiettivi che persegue la Filt nell’attuale vertenza relativa all’Alitalia?
Risposta. Il primo obiettivo del sindacato consiste naturalmente nella massima tutela dell’occupazione e delle condizioni del lavoratore. Ma, non disgiunta da essa, c’è la necessità che questo Paese continui ad avere una presenza significativa nel mercato del trasporto aereo internazionale, quindi l’esistenza di un’azienda di dimensioni dell’Alitalia comparabile con le altre grandi compagnie europee. Cioè, per essere ancora più espliciti, vorremmo evitare che anche nel settore del trasporto aereo l’Italia diventi un mercato di conquista, esattamente quello che è avvenuto in tutti gli altri settori, ad esempio nella chimica, e che mi sembra stia rischiando attualmente anche l’industria dell’automobile. Vorremmo evitare che quanto si è verificato finora accadesse anche per il trasporto aereo. Questi, in sintesi, per scongiurare un massacro sociale e difendere la presenza nazionale nel settore del trasporto aereo.
D. Che cosa avete chiesto al Governo per raggiungere i due obiettivi?
R. Per assicurare il primo, cioè la tutela dell’occupazione, abbiamo abbiamo realizzato un’intesa che prevede il varo di una serie di ammortizzatori sociali per far fronte alle riduzioni di personale. Occorre ricordare che nel settore aereo esiste una situazione particolare e strana: fino ad oggi esso era sprovvisto di qualsiasi forma di ammortizzatori sociali, quindi l’eventuale crisi di un’azienda doveva e poteva essere affrontata soltanto con il drastico ricorso ai licenziamenti. Soltanto ora siamo riusciti ad ottenere alcuni strumenti, ancora da completare, che ci permettono una risposta più flessibile e soprattutto non traumatica.
D. Con questo accordo avete trovato una soluzione per il problema di assicurare le retribuzioni ai lavoratori interessati. Ma per le altre importanti questioni che sono pure sul tappeto che cosa è stato deciso?
R. Resta tuttora aperta l’incognita relativa al giudizio dell’Unione europea sull’ammissibilità del piano di salvataggio e di rilancio promesso dall’azienda e sostenuto dal Tesoro. In particolare si tratta del previsto ingresso della Fintecna nel capitale dell’Alitalia Servizi. Tale giudizio è destinato ad incidere pesantemente sulla vicenda della società. Noi abbiamo sempre sostenuto che quest’azienda deve rimanere riconoscibile come tale, quindi non essere ridotta a un po’ di equipaggi e un po’ di aerei, ma deve restare una vera azienda del trasporto aereo, deve possedere dentro di sé tutte le competenze che hanno le grandi compagnie principali rappresentative dei diversi Stati europei, come l’Air France, la Lufthansa, la British Airways. Cioè, per dirla ancora più semplicemente, non ci interessa proprio la trasformazione dell’Alitalia in un’azienda low cost, ossia dalle basse tariffe; è bene che esistano anche le società low cost, perché offrono molte opportunità e vantaggi ai passeggeri, quindi svolgono una loro funzione; ma occupano nicchie di mercato, non sono sostitutive dei grandi compagnie. Non lo sono in Inghilterra, non lo sono in Germania, non lo sono in Francia, non lo sono in Spagna: non si capisce proprio perché non dovrebbe essere così anche in Italia.
D. Non ritiene che anche all’interno della stessa Alitalia esistano lobbies che, operanti per società aeree straniere o per cordate di imprenditori pronti ad acquistarla, siano interessate e facciano del tutto perché giunga al fallimento?
R. Non posso escluderlo. Per altro illustri commentatori hanno individuato nella vicenda dell’Alitalia un certo parallelismo con quella della società Volare. Che gruppi finanziari e industriali italiani abbiano, a un certo punto, immaginato di concorrere e trarre vantaggio dalla privatizzazione dell’Alitalia è una realtà. Anzi, di per sé non sarebbe neppure una realtà negativa, in quanto io ritengo che la prospettiva della privatizzazione potrebbe essere anche accettabile, una volta chiarito però quale debba essere il ruolo di indirizzo dello Stato e quale la strategia da perseguire. Ma gli interessi che concretamente si sono affacciati, e di cui si è parlano nell’ambito della vicenda Volare, mi pare puntassero a un’operazione più speculativa che industriale. È apparsa evidente più la ricerca dell’affare che altro. Del resto è proprio questo uno dei mali oscuri di questo Paese.
D. Che cosa avete fatto per bloccare questi tentativi di speculazione?
R. Credo che il sindacato abbia sostanzialmente inferto un colpo decisivo, qualche mese fa, a questi interessi quando, decidendo di trattare e non soltanto di scioperare, ha evitato che la crisi raggiungesse una drammaticità tale da facilitare proprio qualsiasi tipo di scorreria speculativa in programma.
D. Quali sono le altre modalità dell’accordo?
R. Intanto l’intervento di sostegno alla riduzione di personale, così come è stato definito nell’intesa, è largamente finanziato dal settore stesso, quindi non comporta un conto da pagare a pie’ di lista per lo Stato. E tutto ciò sarà utile solo se le previsioni di risanamento e di sviluppo dell’Alitalia si realizzeranno, se dalla carta del Piano passeranno alla realtà della produzione sviluppata e dei risultati conseguiti. Occorre aumentare l’offerta di voli, istituire nuove destinazioni usando nel modo migliore le potenzialità dell’Azienda in attesa di poter crescere ancora. Insomma siamo impegnati a ricercare una soluzione che non si limiti ad evitare l’affondamento dell’Alitalia, a farla in qualche modo restare a galla, a mantenerla in una situazione precaria, ma che assuma l’ambizioso obiettivo dello sviluppo.
D. Le altre compagnie aeree europee sono tutte interessate al fallimento dell’Alitalia e si comportano di conseguenza influendo tramite i loro Governi sulle decisioni dell’Unione europea?
R. Credo che sia esattamente questo il punto critico che ha fatto sollevare tanti problemi a Bruxelles. È vero che in questi ultimi quattro anni il mercato del trasporto aereo ha registrato battute di arresto in coincidenza di vari eventi: l’attentato alle Torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001, l’aumento del prezzo del petrolio quindi dei carburanti per gli aerei, le due guerre in Afghanistan e in Irak, la crisi economica e la stagnazione diffusesi su scala internazionale ecc. Ma va anche ricordato che il mercato del trasporto aereo è comunque in crescita. Allora la verità è questa: se in un mercato che comunque è interessante per il futuro venisse di colpo meno una capacità di trasporto significativa come quella che l’Alitalia è in grado di offrire, questo costituirebbe certamente un grandissimo vantaggio per chi è in grado di occupare lo spazio eventualmente lasciato vuoto dalla società italiana, ossia per la concorrenza.
D. L’intervento di compagnie aeree straniere o l’acquisizione da parte di cordate private potrebbe risolvere i problemi dell’Alitalia?
R. Dipende dal come queste eventualità si possono realizzare. Non sarebbe positivo un rapporto basato sull’acquisizione, da parte di altri operatori, di aerei ed equipaggi (e di mercato) in una logica coloniale. Altra cosa è una seria politica delle alleanze per crescere nel mondo sempre più globalizzato. Ma per questa seconda ipotesi occorre presentare un’Alitalia almeno avviata al risanamento e con alle spalle un «sistema Paese» disposto a sostenerla.
D. Quali saranno le prossime tappe della vicenda?
R. Si apre la fase, difficilissima, dell’attuazione degli accordi. Ora si tratta di scendere nei dettagli e nel concreto, si deve vedere dove esiste effettivamente un esubero di personale, dove invece non c’è, a quale riqualificazione puntare, quante unità dovranno essere accompagnate alla pensione e quante riassorbite con lo sviluppo. Tutto ci è di per sé enormemente complicato, a cominciare dalla necessità di spiegare a 20 mila persone che si devono fare sacrifici per errori altrui. Intendiamoci, se si è giunti a questa drammatica situazione le responsabilità sono certamente molto diffuse, ma è buona norma attribuirle tenendo conto dei diversi ruoli e livelli di responsabilità.
D. Che cosa sta facendo al momento l’Unione europea? Quando farà conoscere il proprio giudizio?
R. La Commissione europea ha deciso di aprire un’indagine per accertare se nell’intervento delle finanze pubbliche annunciato dal Governo italiano si riscontrino o meno gli estremi di un aiuto statale, lesivo del principio della libera concorrenza. In pratica questa decisione rende più aleatorio l’accordo stesso, visto che non è certo che superi indenne il suo giudizio. Ed è chiaro che un eventuale giudizio negativo, anche parziale, rimetterebbe in discussione l’intera intesa.
D. Che succederebbe in tal caso? Oltre alle compagnie straniere, ne beneficieranno i gruppi finanziari privati che stanno in agguato, in attesa di spartirsi le spoglie?
R. Non escludo che un simile scenario possa ridare fiato a chi già nel settembre scorso aveva scommesso sul fallimento dell’Alitalia. Sui giornali sono circolati i nomi dei componenti delle cordate interessate ad impadronirsi della società aerea, ma al riguardo non possiedo riscontri più precisi. Non sono mai stato interpellato da nessuno di costoro.
D. Il presidente e amministratore delegato Giancarlo Cimoli è in grado di salvare l’Alitalia? O è condizionato da chi ha interesse a farla fallire e a realizzare un grande affare con pochi spiccioli e dopo il licenziamento di migliaia di lavoratori?
R. Credo che la scommessa sia tale anche per l’ing. Cimoli. Per come l’ho conosciuto al vertice delle Ferrovie dello Stato, posso dire che è un manager affidabile nel confronto con il sindacato e sufficientemente autonomo nella capacità di giudizio. Nel passato ha dimostrato una certa resistenza ad essere facilmente influenzato da fattori esterni all’azienda. Ma la vicenda Alitalia è un caso a sé, un bel banco di prova anche per un manager dell’esperienza di Cimoli. Credo che tra i vari problemi che si trova ad affrontare ce ne siano due molto impegnativi: il primo è quello di trovarsi a capo di una classe dirigente fortemente segnata da un passato fatto di privilegi che non hanno più alcuna ragione di esistere; il secondo è l’impossibilità di ricostruire, in tempi così rapidi, un nuovo gruppo dirigente motivato e capace di interpretare nel modo migliore la sfida imprenditoriale che ha di fronte.
back