AFFARI & CULTURA
 
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MOSTRE, PRESENTAZIONI, AVVENIMENTI ECC.


a cura di Giosetta Ciuffa

oche sono le persone che riescono a coniugare nel lavoro le proprie passioni: è quanto invece è riuscito a fare Uberto Gasche, che ha unificato l’amore per le donne e per gli animali, soprattutto cani, sotto il denominatore della fotografia. Sono infatti questi i principali protagonisti delle foto che Gasche ha realizzato nel corso della propria attività, originata dall’abitudine di tenere, sin da quand’era bambino, un diario corredato da immagini. L’attività di fotografo ha poi preso definitivamente l’avvio con la collaborazione alle riviste «Vogue» e «Lei»: da allora si sono succedute innumerevoli immagini, in ognuna delle quali si riscontra una mescolanza di elementi classicheggianti e contemporanei, esotici e familiari, onirici e realistici, che regalano alla fotografia un’atmosfera di tempi perduti ma sempre presenti nella memoria dell’autore, che trae grande ispirazione specialmente dall’archeologia e dall’arte antica, soprattutto dalla visione degli affreschi. A dimostrazione di ciò c’è sicuramente il suo studio, luogo in cui regna un’incredibile confusione recante però traccia di ogni esperienza vissuta da Gasche, che ama portare con sé un ricordo di ogni posto visitato - soprattutto l’Africa, il Sudamerica, l’India, perché in questi Paesi non si è ancora persa la componente istintiva e animale del comportamento umano - e, viceversa, lasciare comunque una parte di sé in questi posti, tramite la fotografia.
Gasche ama molto ritrarre fanciulle e animali, donando loro un’aura mistica, quasi sacrale, grazie alla particolare attenzione riservata alle particolari pose assunte dalle modelle; all’ambientazione, semplice ma ricercata e mai banale; alla tecnica di stampa, con la predilezione per il viraggio in seppia; persino alla preziosa carta per la stampa. Lo stesso dicasi per gli animali domestici come i cani, soprattutto mastini e levrieri, e per quelli selvatici quali giaguari e ghepardi.
Fra le modelle preferite dall’artista la figlia Maria Cristina, ritratta sin da quando era bambina; ma anche tante altre donne con le quali egli ha instaurato un rapporto d’amicizia o d’amore. Gasche infatti, da sempre innamorato di tutte le donne, usa la fotografia anche perché quelle donne che sono state per lui importanti, o che possono diventarlo, entrino a far parte della sua arte, e quindi della sua vita, in maniera però bilaterale: la modella deve desiderare di essere ritratta, altrimenti non si può creare quell’affiatamento, quella magia rituale che dà origine all’immagine finita.

A Padova le bellissime
(e altro) di Giovanni Boldini

Fino al 29 maggio è possibile visitare a Palazzo Zabarella a Padova la retrospettiva su Giovanni Boldini: circa centoventi opere, tra cui i capolavori più significativi di un’attività che passa per la giovinezza fiorentina e l’adesione al gruppo dei Macchiaioli fino alla maturità trascorsa interamente a Parigi e scandita da frequenti viaggi in Italia, soprattutto a Venezia, o a Londra e in America. A Parigi Boldini mutò il linguaggio macchiaiolo degli inizi, dove aveva pur raggiunto esiti originali e sorprendenti per qualità, per aderire alla pittura «à la mode» condizionata dalle esigenze dei ricchi collezionisti francesi e americani. Il suo successo fu legato ai celeberrimi ritratti, soprattutto a quelli femminili (nella foto, «La marchesa Luisa Casati con penne di pavone»), ma anche ai paesaggi, alle scene di interni, alle brulicanti vedute parigine e a quelle, molto nostalgiche, di Venezia.

Francesco Clemente a Milano con opere dal 1977 al 1990
Nella galleria milanese di Paolo Curti e Annamaria Gambuzzi, in Via Pontaccio 19, fino al 30 marzo espone Francesco Clemente. Si tratta di opere eseguite dal 1977 al 1990 con diverse tecniche: pastelli su carta realizzati nella prima metà degli anni Ottanta, oli, gouaches, carboncini. Nato a Napoli nel 1952, l’artista vive a New York (nella foto: «Heart and arrow», acquerello del 2000).

Padre Matteo Ricci, gesuita
italiano, mandarino cinese

Fino al 10 aprile 2005 a Roma, nel complesso del Vittoriano, è visitabile l’esposizione «Padre Matteo Ricci: l’Europa alla corte dei Ming», curata da Filippo Mignini, studioso di Storia della filosofia e direttore dell’Istituto Ricci di Macerata. La mostra si propone di ricostruire il periodo tra il 1580 e il 1610 del missionario della Compagnia di Gesù e umanista Matteo Ricci, ossia gli anni della formazione e il suo incontro con la Cina. Libri preziosi, testi originali pubblicati dal Ricci, documenti autografi, carte geografiche, strumenti musicali e scientifici da lui introdotti in Cina sono in mostra oltre a porcellane, dipinti, acquarelli, bronzi e abiti di fine epoca Ming. Ricci visse per un decennio a corte con il nome Li Madou - ma era chiamato comunemente Xitai, ossia Maestro occidentale -, con il titolo di mandarino, a spese del pubblico erario e con la protezione dell’imperatore Wanli, che egli tentò di convertire al cristianesimo. La mostra è divisa in due parti: la formazione del gesuita a Macerata, a Roma, in Portogallo e in India; l’incontro con la Cina, paese del quale apprese lingua, abitudini, costumi e cultura, al punto di imparare a memoria le opere di Confucio e di altri filosofi, traducendole anche in latino.

Sculture leggere, fatte
di vuoti, di idee, di progetti

Ospitata fino al 20 marzo nel «503 Mulino», ex mulino idraulico nella Strada Marosticana 503 a Vicenza, «Light sculpture: scultura leggera», a cura di Simone Menegoi , di Dainese e del Goethe Institut di Milano, è una rassegna di opere che applicano l’idea della leggerezza alla scultura. Ossia il vuoto al posto della massa, la vista al posto del tatto, idee e progetti in luogo delle realizzazioni, processi anziché forme. Sono opere di artisti emergenti o affermati a livello internazionale: Francesco Barocco, Simone Berti, Christiane Löhr, Gianni Caravaggio, Rolf Julius, Wolfgang Laib, Max Neuhaus, Gabriel Orozco, Paolo Piscitelli, Steve Roden, Michael Sailstorfer, Erwin Wurm, Hans Schabus, Rachel Whiteread.

Una novantina di opere
di Alberto Giacometti

A Sondrio, nella Galleria Credito Valtellinese e nel Museo Valtellinese di Storia e Arte, la mostra «Alberto Giacometti: percorsi lombardi» documenta, fino al 21 aprile, il periodo lombardo di Giacometti, apertosi nel 1957 con l’incontro con Mario Negri e con altre personalità quali lo scrittore Giorgio Soavi, i critici d’arte Lamberto Vitali, Luigi Carluccio, Franco Russoli, Alberto Martini e Gian Alberto Dell’Acqua, lo stampatore Giorgio Upiglio e il medico Serafino Corbetta. Una novantina di opere fra sculture, dipinti, disegni e incisioni, foto, lettere inedite e filmati, documentano il periodo trascorso tra Milano, Chiavenna e Bregaglia, dove la madre dell’artista viveva. Provengono dalle Fondazioni Giacometti e Alberto e Annette Giacometti di Parigi, dalla Kunsthaus di Zurigo, dal Kunstmuseum di Winterthur e dal Bündner Kunstmuseum di Coira, dalle Civiche Raccolte Bertarelli di Milano e da vari collezionisti.

Sighicelli, Gallaccio e Prego
al Palazzo delle Papesse

Tre mostre personali fino al 2 maggio al Palazzo delle Papesse di Siena: Elisa Sighicelli con «Sottovoce», Anya Gallaccio con «The look of things» e Sergio Prego nel Caveau. La Sighicelli presenta il video «Baudelaire» e dei «light boxes» ispirati ai pittori senesi. La scozzese Anya Gallaccio fa parte della generazione degli «young british artists» e nel 2003 è stata finalista del prestigioso Turner Prize. I lavori del basco Sergio Prego sono stati visti in Italia solo nell’ultima Biennale veneziana; a Siena presenta un omaggio a «Manipulating a fluorescent tube», famosa performance di Bruce Nauman del 1965.

Merano: Nemici delle rose.
" The enemies of the roses", a cura di Valerio Dehò, è il titolo della mostra di Donald Baechler, aperta fino al 3 aprile nella Galleria Kunst di Merano. Pur proponendo alcuni temi tipici che hanno reso celebre l’autore, si tratta di una mostra esclusiva poiché la maggior parte delle circa 300 opere esposte sono inedite e sono stata realizzate appositamente per l’occasione, e inoltre l’allestimento è stato eseguito dall’artista stesso.
La filosofia dell’esposizione è questa: le rose, come tutti i fiori, sono simboli di bellezza e di vita; corrono però un rischio: ogni avanzamento della civiltà ne mette in pericolo bellezza e simboli. L’artista si è ispirato a un vecchio libro che insegna a riconoscere i nemici della rosa, gli insetti. La bellezza per lui è semplicità e passa attraverso l’unificazione delle culture degli adulti e dei bambini. Egli guarda soprattutto il mondo dei semplici o le figurazioni degli alienati.
Le serie di faccine sempre diverse contengono il principio della ripetizione differente, dell’ossessione e della liberazione della mente attraverso la mano. Il difficile sta nel nascondersi dietro l’apparentemente semplice, e il disegno esprime perfettamente quest’arte della semplicità. Naturalmente bisogna essere adulti per fare e comprendere ciò, ma guardare all’arte dei bambini o all’art brut vuol dire anche proporre un pensiero su come il mondo dovrebbe essere ma non è. Baechler è nato nel 1956 nel Connecticut e vive a New York.

Firenze: Il punto sull'arte.
A Palazzo Pazzi Ammannati di Firenze 130 opere della rassegna «Africani in Africa» offrono, fino al 6 marzo, un ricco panorama dell’arte nell’Africa Nera, con significative opere che riflettono le tragedie africane dei nostri anni. In mostra sono opere del keniota Cheff Mwai, ex militante Mau-Mau i cui bassorilievi policromi in legno inneggiano alla resistenza contro l’occupazione coloniale; del suo connazionale Peter Maurice Wanjau e del tanzaniese Maurus Mikael Malikita, i quali denunciano invece le usanze tribali ancora vigenti; di Djess, della Repubblica Popolare del Congo, che riproduce raffinerie e miniere attraverso maschere tribali della cultura Mbuia e delle tribù Fang. Nella nemica Repubblica Democratica del Congo viveva invece Jean Michel Moukeba, vittima giovanissima nella lunga guerra, di cui la mostra presenta un magnifico altorilievo dipinto; dallo stesso Paese è il giovane Lukawu autore delle celebri mani protese ad intimare l’alt all’Aids e all’uccisione della fauna.
Dal Senegal provengono le tavole pop di Moustapha Souley, autentiche insegne pubblicitarie, nonché una scultura di Amadou Makhtar Mbaye, raffigurante un suonatore composto con pezzi recuperati nelle discariche. L’esposizione presenta anche opere del ghanese Benard Asante, collocabile nella corrente neo-grafitista. Dal Ghana anche un raro ritratto di un occidentale eseguito dal guaritore di Dio Anthony Kwame Akoto. Spettacolari sono le grandi installazioni in legno policromo e traforato del keniota Abdallah Salim, e gli assemblaggi optical di tappi di bottiglia di Margareth Majo dello Zimbabwe.
Da ammirare i quadri del toghese Kristopher Atikossie con i simboli della magia tribale, e dell’etiope Engdaget Legesse, dai significati criptati in simboli copti. Le opere del nigeriano Mandy’s Meninwa si rifanno alle maschere tribali delle culture Chamba e Kalabari Ijo, e alle figure a mezza luna delle tribù Mama. Sono presenti pitture su tela e vernice trasparente del tanzaniese Georges Lilanga che ha ottenuto a Sotheby’s quotazioni record. Infine i grandi totem in legno del nigeriano Solomon Uwuenwa che ripropongono in chiave contemporanea gli stilemi tribali delle tribù Yoruba, Mama, Mumuye e Chamba.

Torino: Suggestivo viaggio.
Oltre 150 capolavori sul tema della neve è possibile ammirare, fino al 25 aprile, nella Palazzina della Promotrice delle Belle Arti di Torino, nel Parco del Valentino. Sono esposti nella mostra «Gli impressionisti e la neve. La Francia e l’Europa», curata da Marco Goldin e organizzata da Linea d’Ombra, Città di Torino, Regione Piemonte, Compagnia di San Paolo, Toroc e Fondazione Torino Musei. Le opere sono degli impressionisti Gustave Courbet, Edouard Manet, Claude Monet, Camille Pissarro, Alfred Sisley, Gustave Caillebotte, Paul Gauguin, Vincent Van Gogh, Paul Cézanne e Armand Guillaume; sono presenti inoltre oltre 100 dipinti di pittori europei loro contemporanei. In due sezioni, l’esposizione offre un suggestivo viaggio attraverso un tema tra i più luminosi e fiabeschi con i quali si sia misurata la grande pittura di paesaggio del XIX secolo: la neve.
La prima sezione è incentrata sulla pittura di neve in Europa, al di fuori della Francia: circa cento le opere, suddivise in aree geografiche - Scandinavia, Gran Bretagna, Russia, Est europeo, Paesi Bassi, Europa centrale, Italia - per delineare l’ampia storia tematica della pittura del secondo Ottocento, con autori più o meno noti, fino ai paesaggi di neve dipinti da Edvard Munch tra XIX e XX secolo. La seconda sezione presenta il nucleo francese della mostra: tra le opere esposte l’unico dipinto del grande Manet sul tema: «Effetto di neve a Petit-Montrouge».

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