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ALDO CALVELLO:
WASS, STRUMENTI PER MANTENERE LA PACE
a cura di Stefano Saletti

Aldo Calvello amministratore delegato della Whitehead Alenia Sistemi Subacquei

eader mondiale nella progettazione e produzione di sistemi d’arma subacquei e di sistemi di sorveglianza e combattimento, la Wass - Whitehead Alenia Sistemi Subacquei - è attualmente la sola azienda nel mondo in grado di sviluppare e produrre siluri leggeri e pesanti, sistemi di lancio, contromisure antisiluro per navi e sommergibili, fino ai più sofisticati sistemi sonar. È presente nel campo dei siluri leggeri in oltre 15 Paesi con oltre 2 mila sistemi consegnati con i rispettivi sistemi di lancio per piattaforme navali, elicotteri e Maritime Patrol Aircraft, mentre i suoi sistemi di contromisure da sommergibile sono presenti su piattaforme subacquee europee ed extra-europee.
Una serie di attività anche in campo subacqueo civile, dalla protezione dei parchi marini ai sistemi di sorveglianza di navi e porti, completano il quadro della Wass. Fondata a Fiume nel 1875 dal professor Robert Whitehead, da cui prese il nome, è diventata nel 1995 Whitehead Alenia Sistemi Subacquei, ed è entrata nella galassia della Finmeccanica attraverso l’accorpamento di tutte le attività subacquee dell’Alenia Elsag Sistemi Subacquei ed Usea. A guidarla dal 2001 è il comandante Aldo Calvello, con una carriera in Marina che ha lasciato nel 1975 con il grado di tenente di vascello per entrare nella Whitehead, della quale è diventato direttore commerciale. Nel 1991 si è trasferito nelle Officine Galileo di Firenze, come direttore commerciale e in seguito direttore generale. Nel 2001 è tornato alla Whitehead, a quel punto diventata Wass, come amministratore delegato dell’azienda.
Domanda. Quali sono i punti di forza della Wass?
Risposta. Certamente avere una grande tradizione. Dal 1939, quando gli eventi bellici ne determinarono il trasferimento da Fiume a Livorno, la fabbrica divenne l’unico silurificio italiano inglobando i due già esistenti. Altri punti di forza sono la solidità di bilancio - da tre anni abbiamo risultati economici molto positivi -, e una forte presenza internazionale. La società, infatti, è attiva soprattutto nei mercati esteri e il 70 per cento della sua produzione è indirizzata verso Paesi come Germania, Francia, Danimarca, Polonia, Australia, Malesia, India e altri. Attualmente i nostri sistemi sono operativi in 22 Paesi, compresi gli Stati Uniti.
D. Quali sono le vostre attività principali?
R. Siamo attivi principalmente nei sistemi subacquei, cioè nella produzione di siluri che possono essere lanciati dall’elicottero o dall’aereo contro un sommergibile, o siluri che vengono lanciati dal sommergibile contro altri sommergibili o contro una nave. Inoltre facciamo tutte quelle attività di contromisura, ossia tutti quei sistemi che servono a difendersi da minacce via mare. Un altro settore riguarda i sistemi di sorveglianza, intendendo in questo non solo i sonar ma anche quei sistemi che oggi trovano la loro collocazione nella lotta contro il terrorismo, quindi nella protezione di porti e di aree da eventuali attacchi subacquei contro navi o bersagli portuali.
D. Svolgete attività soltanto in campo militare?
R. No, utilizziamo nel settore civile una serie di attività progettate in ambito militare. Ad esempio a Napoli, insieme con i vulcanologi dell’Università, teniamo sotto controllo, attraverso sensori acustici, la zona di mare prospiciente Pozzuoli per verificarne il bradisismo, capire se il fondale marino subisce dei movimenti o comunque si sta assestando. Altri sistemi riguardano la ricerca tecnologica attraverso la fotografia subacquea: per mezzo di sonar sofisticati riusciamo ad avere una visione estremamente dettagliata di cosa c’è nel fondo del mare. Un’altra applicazione è la protezione dei parchi naturali marini: riusciamo a decrittare e a dare un nome al peschereccio che entra in una zona protetta per causare dei danni.
D. Parlava di sistemi specializzati per la lotta contro il terrorismo. Di che cosa si tratta?
R. Di sistemi di controllo e sorveglianza di navi e porti. Un’azione terroristica, che speriamo non sia attuata mai, potrebbe consistere nella posa, da parte di un sommozzatore, di una bomba sotto una nave passeggeri. Non è facile controllare un porto come quello di Miami, dal quale il venerdì sera partono 20 mila barche a vela e altrettante poi ne rientrano, e scoprire se da una di esse si stacca un sommozzatore per compiere un tale attentato. Creiamo sistemi che proteggono con barriere elettroacustiche questo tipo di bersagli, e che danno l’allarme quando un corpo estraneo penetra nell’area. Se nel 2000 nel porto di Aden nello Yemen fosse stato in funzione un sistema di questo tipo, l’organizzazione Al Qaeda non sarebbe riuscita a compiere l’attentato in cui rimasero vittime 17 marines.
D. In quali parti del mondo sono attivi questi sistemi?
R. La scorsa estate in Grecia, durante lo svolgimento delle Olimpiadi, era operativo un sistema di protezione e di sorveglianza non totalmente nostro, ma che conteneva molte componenti della Wass. I porti degli Stati Uniti sono dotati di questi sistemi di sicurezza, quelli italiani non ancora. Sono precauzioni che dovranno essere sicuramente adottate ed esistono progetti in tale direzione, ma ancora in una fase di studio.
D. Ritiene possibile un rischio del genere per l’Italia?
R. Nei nostri porti un’azione terroristica sarebbe più difficile rispetto a un porto come quello di Miami, perché vi circolano una minore quantità di barche il cui flusso è più facilmente controllabile. Teoricamente però il pericolo esiste. Sarebbe estremamente facile organizzare un attentato del genere, perché basterebbero poche risorse finanziarie e persone dotate di un addestramento minimo, anche se si tratta comunque di trasportare un carico di esplosivo per centinaia di metri sott’acqua. Con i nostri sistemi di sicurezza e sorveglianza si possono controllare facilmente le entrate del porto, le zone particolari, le navi alla fonda o presso le banchine, e scongiurare quindi una possibile catastrofe.
D. Chi sono in generale i committenti della Wass?
R. Per le attività di tipo civile sono le Autorità portuali, le Regioni, gli Enti parco. Per le altre, i Governi e più precisamente le Marine militari di tutto il mondo, attraverso gare o accordi intergovernativi e programmi internazionali. Ci consideriamo i precursori di una serie di joint-ventures perché la nostra azienda ha avviato un’attività di collaborazione internazionale dal 1988. Con la Francia abbiamo costituito un consorzio, in termini tecnici un geie, ossia un gruppo economico di interesse europeo, con il quale gestiamo programmi specifici per la produzione e la commercializzazione di un siluro chiamato MU 90.
D. Quali sono i prodotti più venduti?
R. Il siluro 244 S, che abbiamo venduto in molti Paesi e che si colloca in una fascia intermedia, valido per Marine militari con esigenze diverse da quelle Nato. Poi c’è il MU 90 che abbiamo venduto in Francia, Germania, Danimarca, Polonia e Australia. Siamo leader mondiali nella produzione di siluri leggeri.
D. Quali sono i siluri di maggiore potenza?
R. Stiamo realizzando per la Marina militare italiana ed entrerà in servizio tra non molto il Black Shark, appartenente a una categoria di siluri pesanti di nuova generazione realizzati per i sommergibili, e che hanno per bersaglio le navi di superficie. Abbiamo già alcuni clienti stranieri che, nonostante non sia stato ancora sviluppato completamente, sono in lista d’attesa per i relativi contratti. Il Black Shark rappresenterà per noi il prossimo futuro dal punto di vista del mercato. È un prodotto molto sofisticato che si colloca tra i migliori siluri del mondo, anche a paragone con quelli americani.
D. Come viene indirizzato contro il bersaglio?
R. È guidato dal sistema Astra, una testa acustica montata su di esso e costruita con le ultime tecnologie disponibili nel campo dei segnali e dell’elaborazione dei dati. Sono teste dette «intelligenti» perché riescono a distinguere un sommergibile da una balena o da una roccia, e trasferiscono al siluro la capacità di adattare il proprio comportamento alla situazione esistente intorno. Attualmente, come il progetto Black Shark, l’Astra è in una fase di collaudo. Diventerà operativo presto, le forniture del Black Shark cominceranno dal 2005.
D. Quanto destinate alla ricerca?
R. Molto. Se includiamo anche la parte finanziata da programmi di sviluppo, l’importo è pari al 30 per cento del nostro fatturato. Il 90 per cento della ricerca viene realizzata in Italia con tecnologie che ancora non sono disponibili nel nostro Paese e che stiamo cercando di acquisire. Puntiamo sempre, a parità di condizioni, a privilegiare l’Italia per non avere condizionamenti esterni.
D. Come prevedete di chiudere l’esercizio 2004?
R. Prevediamo un ricavo di 130 milioni di euro. Abbiano notevoli disponibilità finanziarie e registriamo risultati molto positivi. Dal punto di vista della redditività realizziamo, in percentuale, i migliori risultati di tutto il Gruppo.
D. Quanto è utile far parte del Gruppo Finmeccanica?
R. Indubbiamente far parte di un Gruppo che viene considerato all’estero molto importante dal punto di vista dell’alta tecnologia aiuta in modo particolare per la credibilità dell’azienda. Abbiamo dei vantaggi perché, presentandoci come Finmeccanica, abbiamo alle spalle un bagaglio finanziario, economico e di credibilità aziendale che ci favorisce.
D. Perché ottenete più commesse dall’estero che dall’Italia?
R. Perché il mercato italiano non ci permetterebbe di sopravvivere come vorremmo. Si tratta di una nicchia di mercato che è ancora troppo piccola. Ma la Marina Militare italiana riveste un ruolo fondamentale per noi, perché è evidente che, se non avesse omologato i prodotti che offriamo all’estero, nessun’altra Marina li adotterebbe. Per questo consideriamo la Marina italiana il nostro primo cliente, legato a noi non solo come acquirente ma come consulente che ci indica gli obiettivi da raggiungere, gli oggetti da realizzare, il tipo di fabbricazione e di sviluppo da adottare. L’imprimatur della Marina garantisce in un certo senso la validità del prodotto.
D. La crisi internazionale in atto, che ha determinato nuovi investimenti in campo militare, ha giovato o ha arrecato svantaggi economici?
R. A parte la nicchia di mercato riguardante i prodotti specifici della lotta contro il terrorismo, per quanto riguarda i siluri e l’industria subacquea la nostra attività è legata a programmi navali riguardanti la costruzione o l’ammodernamento di nuove navi e sommergibili. Questo tipo di costruzioni è fuori della congiuntura, anche perché il ciclo di una nave o di un sommergibile è ben definito e, quando è concluso, o si interviene o si impoverisce la dotazione di mezzi navali necessari. Siamo quindi sostanzialmente legati alle necessità operative delle Marine Militari che, se devono costruire dieci navi nuove, devono armarle e quindi hanno bisogno dei nostri prodotti. Oggi siamo in una situazione un po’ fortuita perché alcune Marine, per motivi di budget, negli anni passati avevano rallentato l’ammodernamento delle loro flotte e si sono trovate costrette in poco tempo ad ammodernarle e armarle.
D. Com’è organizzata la Wass?
R. Dispone di 4 stabilimenti. A Livorno, dove è anche la sede operativa della società, c’è quello principale con 250 dipendenti. Altri 100 lavorano a Napoli in uno stabilimento che vanta una lunga storia perché era uno dei vecchi silurifici italiani, che prima di essere conglobato nella Whitehead operava in autonomia. A Genova vi sono 20 unità lavorative; le restanti sono in Francia dove la Wass è partner al 50 per cento nella joint-venture con le industrie francesi Thales e Dcni nel consorzio Eurotorp, per la commercializzazione nel mondo dei siluri leggeri 244 S e MU 90.
D. Avete più rapporti con l’Europa o con gli Usa?
R. Con l’Europa. Nel mondo li abbiamo in particolare con i Paesi che hanno Marine sofisticate e un certo tipo di esigenze dal punto di vista subacqueo, ad esempio Australia, Nuova Zelanda, India.
D. Perché si continuano a fabbricare siluri se l’ultimo è stato lanciato più di vent’anni fa nella guerra delle Falkland?
R. Perché avere una flotta di sommergibili armati in una Marina Militare è un deterrente che porta all’equilibrio delle forze nei teatri di possibili scontri. Il siluro è un’arma letale che da sola può affondare una nave, e il sommergibile è una piattaforma estremamente efficace in guerra. Le grandi Marine del mondo, americana, inglese, russa o indiana, hanno un numero di sommergibili e quindi di siluri molto elevato.

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