back


TENDENZE.
METTI UNA SERA
UNO SCONOSCIUTO A CENA

di Romina Ciuffa

 

 

etti una sera a cena. E metti uno sconosciuto. Tanti sconosciuti. L’uno di fronte all’altro a passarsi il vino e a raccogliere la posata caduta al vicino maldestro. È la nuova tendenza: un tavolo di perfetti mai-visti-prima per una serata diversa e, secondo alcuni, trasgressiva. Anche se di trasgressivo, in fondo, non c’è nulla: a chi non è capitato di sedere con dei commensali nuovi e raramente divertenti? Ciò che, invece, è trasgressivo, qui, è l’intento. E ciò che, altre volte, si è temuto ovvero sperato, in questo caso lo si è cercato. Lo si è prodotto. Con la condotta indipendente di più persone che, per curiosità o per altro, hanno prenotato un posto a sedere in una tavolata di sconosciuti, in spregio alle convenzioni e alla faccia di tutti quelli che saranno, l’indomani, pronti a ricamarci sopra. Cosa c’è di male? In fondo, è un gioco: ma più impegnativo.
Non ci si aspetti l’occhialuto compagno di banco o la segretaria della quarta stanza a sinistra: alla cena degli sconosciuti partecipano proprio tutti, belli e brutti, e forse in maggior numero i primi, più inclini a sfoggiare la propria sicurezza. Anzi. Essere seduti lì, tra una quarantina di anonimi, costituisce il moderno derivato della commistione tra curiosità e coraggio. Questa considerazione, presa con i guanti per poterne valutare le varianti, garantisce un buon punto di partenza.
In più città italiane una sera a settimana si può trovare una compagnia diversa e una cena completa a meno di 20 euro a persona (e forse, la cosa più trasgressiva è proprio questa). Cosa spinge giovani e meno giovani, singles e coppie, ad andare a una cena al buio? Innanzitutto la noia. Qualcosa che, anche a piccole dosi, sconvolge la vita di chiunque, difficile da affrontare e inarrestabile quando giunge. A volte provocata dalla routine, perché no dalla televisione, altre dall’inevitabile natura umana. La noia, quella sensazione di inafferrabile «voglia di», che è voglia di qualcosa-ma-non-so-di-cosa, la necessità di staccare sapendo che, tornando, sarà tutto come prima, e di cambiare temendo che, cambiando, si finisca per sbagliare.
Il timore di guardarsi indietro, di frugarsi dentro, di andare avanti. La noia, che è dentro l’uomo medio ma dentro tutti, e che rende tutti uguali e si insinua surrettiziamente nelle vite di ogni tipo, quelle più varie e quelle più semplici. La noia, la perfetta (ma non voluta) applicazione del principio di uguaglianza. Forse la noia infila nomi sconosciuti in una lista di prenotazioni al ristorante e distribuisce per loro posti a sedere vicini. Ma non solo. Non è, in fondo, questa, la motivazione unica o, comunque, primaria di chi partecipa alla cena degli sconosciuti. C’è molta curiosità. Curiosità: qualcosa che è, a volte, il facile svolgimento della noia, ma che spesso segue una strada del tutto parallela, e dunque non intersecantesi mai con la noia, e che è il frutto, dunque, di una particolare (e ormai rara) predisposizione, attitudine dell’essere umano ma di qualunque animale, e riporta l’uomo alla condizione bestiale di essere istintivo, intuitivo, dalle impercettibili intenzioni ludiche.
Questa propensione spinge il corpo, ma soprattutto la testa, a lasciarsi andare a nuove esperienze, spesso brutali, altre volte oneste. Non è annoiata la coppia di sessantenni seduti alla cena degli sconosciuti, in larga parte molto più giovani di loro; o forse lo è, per altre cose, ma non per queste presenti al convivio. Si trova lì per altro: per gioco, per curiosità. Per confrontarsi senza predeterminare le sembianze del nemico e le armi di cui dotarsi per sconfiggerlo. In un’epoca in cui nessuna messa in discussione è data per la maggior parte dei viventi, e in cui si tende ad armarsi e a combattere anche nella pausa caffè, quando chi abbassa la guardia è fagocitato da una nemica macchinetta, c’è chi prova a confrontarsi ancora.
Confronto: allora è questo quello di cui si parla? Forse. Non escludendo che, tra i quaranta invitati-mai-visti-prima, ci sia chi si segga a quel tavolo per meri intenti ego-determinati, dai quali sfoga l’approccio ad ogni genere di novità che si possa raccontare dopo con aria saccente. Probabilmente c’è anche materiale umano di questo tipo - il più comune per la verità - alla cena degli sconosciuti. E perché, allora, non si trasformi nella cena dei saccenti, dove tutti provano a dare, in pochi minuti, saggio delle proprie qualità e disponibilità intellettual-finanziarie, è necessario mantenere sempre un occhio di dietro e uno davanti, e presentarsi senza cravatta e lustrini come se ci si recasse al pranzo di Natale della (a dire il vero ancor più sconosciuta) famiglia.
Un semplice se stessi andrebbe bene, senza dover necessariamente sciorinare tutto il conosciuto in ogni lingua e dialetto imparati altrove. Magari nel corso di uno speed-date, destinato a durare al massimo duecento secondi nei quali, l’uno di fronte all’altro in tavolini da due, perfetti sconosciuti fanno le proprie presentazioni per dare, poi, il cambio a chi è in fila a tempo scaduto. Al termine del gioco si avrà una vaga e confusa idea, ma la si avrà, di tutti i presenti.
E perché, allora, non sedersi a un table-for-six, organizzato dalle agenzie matrimoniali americane sulla base di schede elettroniche e desideri formulati? Ma, per rischiare il tutto e per tutto, bisognerà prendere un aereo per Londra o New York e partecipare a una vera e propria cena al buio (dinner in the dark), nella quale all’oscuro non è solo il proprio commensale, ma anche camerieri e portate, da mangiare con le mani e da scoprire, gustare e indovinare lentamente e timoratamente, per mettere alla prova, spesso per la prima volta, i sensi indubbiamente sottoutilizzati e lasciati alle influenze dell’apparire così come rappresentato dagli occhi nella società dell’immagine.
E chissà, allora, se mente sull’età qualcuno o è meno difficile dire il vero con degli sconosciuti: chissà se l’anonimato rende la vita più facile. Tutto questo è curiosità e si vuole che sia, soprattutto, gioco, l’unico elemento che deve essere ininterrottamente tenuto a tiro per evitare che il resto prenda il sopravvento e tutto non si trasformi in comune esibizionismo o nel ripiego all’annuncio per persone sole. Senza potersi eludere il riferimento alla cena dei cretini, descritta dall’imperdibile film omonimo nel quale un consolidato gruppo di amici invita ogni settimana, al consueto appuntamento, la persona ritenuta più cretina che, inconsapevole, sarà sottoposta a sadici minuetti verbali, rimane la consapevolezza dell’infrangibile dogma della monotonia, contro il quale nulla può se non, forse, un piatto ben condito.
back